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Coordinamento Servizi Informatici Bibliotecari di Ateneo |
Università degli Studi di Lecce |
Il sogno degli studiosi di ogni tempo è sempre stato quello di conoscere, all’occorrenza, quello che è stato pubblicato e si continua a stampare ogni giorno nel vasto campo dei propri interessi culturali o, perlomeno, nell’ambito più ristretto della disciplina e degli indirizzi di ricerca seguiti con maggiore assiduità. Per questo, sotto ogni cielo, dall’antichità ai nostri giorni sono state compilate le bibliografie. San Girolamo, dopo aver portato a termine la sua rassegna bibliografica degli autori cristiani sotto il titolo di De viris illustribus, affermò, soddisfatto e orgoglioso, che finalmente anche i cristiani potevano, grazie ad essa, mostrare ai pagani in modo inoppugnabile l’alto livello culturale e critico ormai raggiunto ad appena pochi secoli dalla venuta di Cristo.
La stampa ha enormemente aumentato il numero dei libri in circolazione, moltiplicando all’infinito le ansie degli studiosi in cerca di quanto a loro interessa nel mare magnum delle edizioni e degli esemplari che escono a migliaia, anzi a centinaia di migliaia, dalle officine e dagli stabilimenti tipografici. Si è pertanto posto con urgenza fin dal Cinquecento, a meno di cento anni dall’invenzione di Gutenberg, il problema della conoscenza e della indicizzazione di questa sterminata caterva di libri; vi si sono impegnati con molta buona volontà librai, bibliotecari ed eruditi redigendo bibliografie, liste e cataloghi di botteghe librarie, di biblioteche pubbliche e di collezioni private. Dopo il processo di industrializzazione che nel corso dell’Ottocento ha interessato direttamente anche la produzione dei libri, la bibliografia da semplice strumento al servizio degli eruditi, dei librai e dei bibliofili si è trasformata in una complessa disciplina per l’ordinamento, l’indicizzazione e il ritrovamento dei libri, ormai preliminare e indispensabile a ogni progetto di ricerca, dalla teologia e dalla giurisprudenza fino alle scienze naturali e alle nuove frontiere delle applicazioni tecniche.
Tra Otto e Novecento per rispondere a queste esigenze cominciarono a uscire rassegne bibliografiche nazionali su quanto si andava pubblicando ogni giorno. In Italia a partire dal 1886 vide la luce il Bollettino delle pubblicazioni ricevute per diritto di stampa, che nel 1958 prese il nome più aderente alle sue funzioni di Bibliografia Nazionale Italiana (BNI). Queste pubblicazioni registrano tutto quello che ogni anno esce dagli stabilimenti tipografici, sono cioè bibliografie correnti. Gli studiosi hanno però bisogno di avere un accesso facile e sistematico anche ai libri che, col passare degli anni, si sono accumulati nelle diverse biblioteche della nazione. Hanno cioè bisogno di bibliografie retrospettive in cui siano indicizzate, per autori, per classi o per voci di soggetto, tutte le edizioni presenti indipendentemente dalla loro data di pubblicazione.
Il progetto di un catalogo retrospettivo di tutte le edizioni presenti nelle principali biblioteche italiane vide la luce mezzo secolo fa. Dopo un po’ di tempo furono pubblicati, nell’arco di una ventina d’anni, fino al 1979, nove volumi del Primo Catalogo Collettivo delle Biblioteche Italiane. Ma già nel 1976 l’Istituto Centrale per il catalogo unico ne decise l’interruzione per coordinare iniziative meno faraoniche e più articolate che andavano dal completamento dell’Indice Generale degli Incunaboli delle Biblioteche Italiane (IGI) al censimento delle edizioni del Cinquecento presenti in tutte le biblioteche italiane (EDIT 16), al progetto, infine, del recupero dei libri antichi nell’ambito della catalogazione del Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN). Quest’ultima è una complessa, e secondo alcuni già un po’ obsoleta, struttura di catalogazione partecipata, messa in piedi nel corso degli anni Ottanta per l’informatizzazione centralizzata delle biblioteche italiane dello Stato e degli enti aderenti: le regioni, le province i comuni e, da ultime, le Università, che ne sono divenute la forza trainante soprattutto nel corso dell’ultimo decennio.
Il Primo Catalogo Collettivo voluto dal governo italiano non aveva ancora chiuso i battenti, quando, nel 1969, una ditta privata, la Kraus Reprint di Monaco di Baviera ricompattò e indicizzò in modo cumulativo le varie annate del Bollettino delle pubblicazioni ricevute per diritto di stampa, dando vita a un catalogo cumulativo delle biblioteche italiane per gli anni che vanno dal 1886 al 1957 (CUBI).
Nonostante questa iniziativa e nonostante il buon avviamento del censimento nazionale delle Cinquecentine (è uscito il quarto volume che termina le voci della lettera C, ed è a buon punto la ricognizione delle voci dalla lettera D alla G), i processi di informatizzazione delle biblioteche nel corso degli ultimi trent’anni hanno interessato soprattutto la catalogazione corrente, lasciando quasi sempre in ombra il problema della catalogazione dei fondi antichi delle biblioteche italiane.
In questa prima fase dell’informatizzazione delle biblioteche vi era l’obiettivo di acquisire gli strumenti che consentissero la formazione di un catalogo elettronico dei libri recenti, cioè di quelli che costituivano il patrimonio contemporaneo della biblioteca. Si seguiva una consuetudine ormai secolare, secondo la quale un catalogo anche dopo la sua chiusura, rimaneva in uso per i libri già presenti in biblioteca, mentre il nuovo catalogo avrebbe registrato solo quelli entrati a partire dalla data della sua introduzione. Nel corso degli ultimi decenni si è cioè assistito all’adozione del catalogo elettronico in numerose biblioteche che, nella stragrande maggioranza dei casi, ha interessato solamente le nuove acquisizioni, e il recupero nel catalogo elettronico dei libri acquisiti prima dell’informatizzazione del catalogo è rimasto un problema aperto che, nel corso di questi ultimi anni, sta diventando di urgente attualità.
Solo quando le diverse biblioteche ebbero buoni cataloghi elettronici dei libri recenti, cominciò ad apparire sempre più evidente il divario abissale tra il nuovo catalogo informatizzato e i precedenti schedari cartacei. In sostanza si poneva, in modo ancor più drammatico, la questione della stratificazione catalografica delle biblioteche italiane, aggravata da fatto che il nuovo catalogo era di natura ormai completamente diversa da quelli su supporto cartaceo formati nell’arco degli ultimi trecento anni: in alcune grandi biblioteche italiane sono ancora in uso i pesanti cataloghi in volume del Settecento e dell’Ottocento.
Quando non si concepì più lo strumento elettronico come un mezzo per stampare più facilmente e più rapidamente le schede cartacee, come all’inizio ad alcuni era forse sembrato, il più appariscente dei cambiamenti fu, se non la scomparsa, per lo meno l’avvio verso l’obsolescenza dei cataloghi di carta, che con la loro imponenza occupano gran parte del settori di ingresso, e offrono la prima e più caratteristica immagine della biblioteca tradizionale come luogo dell’organizzazione e dell’indicizzazione del sapere. Non era tuttavia in gioco solo l’abbandono del tradizionale supporto fisico dei cataloghi, cioè delle tradizionali schede di catalogo in formato internazionale, ma l’intero processo di mediazione catalografica, poiché l’informatizzazione aveva ridisegnato la mappa stessa delle notizie bibliografiche contenute sulla scheda. Mentre infatti la struttura informativa del catalogo cartaceo privilegiava le intestazioni (autori, voci di soggetti, classi, ecc.) su cui era configurato, il nuovo catalogo elettronico dava il primo posto all’intera descrizione bibliografica assunta come parte centrale, come cuore del catalogo, indipendentemente dalle eventuali vie di accesso che avrebbero consentito al lettore di raggiungerla. Tutto ciò comportava anche un cambiamento nel modo di concepire lo stesso catalogo e la sua simulazione della biblioteca.
Mentre infatti nella precedente catalogazione la descrizione del libro (il parente povero della catalogazione, si diceva) era ridotta agli elementi essenziali e, pur costituendo in teoria il corpo della scheda, aveva unicamente lo scopo di far riconoscere, senza possibilità di equivoco, il libro cercato. Le intestazioni costituivano invece la vera anima del catalogo: avevano il compito fondamentale di organizzarlo e di strutturarlo secondo le loro proprie esigenze e secondo le relazioni che stabilivano al suo interno in un complesso gioco di rinvii e di rimandi. Il catalogo stesso, del resto, prendeva ( e prende) il suo nome dal tipo di intestazione seguita: per autori, per editori, per soggetti, per materie, ecc.
La descrizione bibliografica costituisce invece l’anima del catalogo elettronico e , quasi ovunque, è portata a termine nel rispetto degli standard internazionali previsti dall’International Standard Bibliographic Description (ISBD). Qui la logica è rovesciata: il catalogo non si struttura più secondo le intestazioni, ma secondo le descrizioni bibliografiche; esso infatti non è altro che una base dati in cui esse sono tutte, coerentemente, registrate in aree ed elementi descrittivi codificati in precedenza. Le intestazioni tradizionali si sono trasformate nelle nuove vie di accesso all’archivio bibliografico e vivono, per così dire, alla periferia della struttura catalografica centrale, consentendo processi di indicizzazione che, almeno sul piano della quantità e della efficienza delle risposte, erano impensabili nell’età del catalogo cartaceo.
Si possono inoltre aggiungere nuove e particolari tipologie di accessi (per tipografi, per luoghi geografici, per nazionalità degli autori) senza dover necessariamente moltiplicare, come con le antiche intestazioni, i cataloghi della biblioteca; infatti basta aprire nuove vie di accesso all’unico catalogo elettronico in cui sono registrati tutti i libri della biblioteca. Insomma con l’informatizzazione la descrizione bibliografica e le intestazioni si sono invertite le parti. Il nuovo catalogo, nel suo nucleo centrale, consiste nell’insieme delle descrizioni dei libri alle quali si può giungere o grazie agli accessi formali, così chiamati perché nascono dagli elementi stessi della descrizione bibliografica, come il nome degli autori e il titolo del libro, oppure grazie agli accessi semantici, costruiti dal catalogatore a partire dai contenuti del libro, come le voci di soggetto e le classi delle materie.
Anche se non possiamo certamente affermare di avere ormai introdotto in ogni biblioteca la catalogazione corrente informatizzata, e benché la catalogazione dei patrimoni librari antichi resti per molti responsabili delle nostre biblioteche un lontano miraggio, si può tuttavia prevedere che l’antico sogno di un catalogo unico delle biblioteche italiane svanito alla fine degli anni Settanta, se mai un giorno potrà avverarsi sarà certamente un catalogo informatizzato, nato probabilmente in modo virtuale grazie ai collegamenti tra i cataloghi elettronici delle numerosissime biblioteche italiane. Prima però di quel giorno nelle singole biblioteche si vanno facendo sempre più drammaticamente urgenti i problemi posti dal passaggio su supporto elettronico dei cataloghi storici; anzi in molti casi ci si trova di fronte a libri presenti nei magazzini a migliaia e privi di ogni forma di catalogazione, per mancanza - si dice - di uomini e di mezzi.
Negli anni Sessanta e Settanta il più grande ostacolo alla formazione del Primo Catalogo Unico fu la grande difformità dei cataloghi storici presenti nelle biblioteche, dal momento che i cataloghi che si erano succeduti nel tempo non erano mai riusciti ad assorbire completamente e a uniformare quelli precedenti; non fu infatti possibile applicare a cataloghi cosi differenti le procedure meccanografiche e fotografiche adottate da altre nazioni che, invece, potevano contare su cataloghi sufficientemente uniformi da consentirne la cumulazione e un nuovo ordinamento alfabetico di tutte le schede bibliografiche. La giustapposizione di cataloghi, che si sono succeduti nel tempo e hanno seguito differenti norme di schedatura, ha dato origine a una sorta di stratificazione catalografica che rischia ora di far fallire, o per lo meno di causare non poche difficoltà all’estensione della catalogazione informatizzata a tutti i patrimoni librari delle biblioteche, antichi e moderni, generali e speciali. Chi si appresta infatti a formare il catalogo elettronico completo della propria biblioteca si trova a dovere, d’un sol tratto, recuperare, interpretare e dare coerenza catalografica a tutti i tipi di schedatura messi in opera nella sua biblioteca nel corso dei secoli, impegnandosi a riuscire là dove fino a ora i suoi predecessori o non avevano affrontato affatto il problema, o dopo inutili tentativi avevano gettato la spugna, oppure, nel migliore dei casi, si erano gettati in imprese di recupero che, senza il ricorso a strumenti informatici, prevedevano il lavoro di diversi decenni, con code di lavoro da lasciare alle generazioni future.
Per giungere decisamente al catalogo elettronico, passo preliminare verso la biblioteca virtuale, dobbiamo in Italia fare i conti con tutta intera la nostra tradizione bibliotecaria e affrontare, una buona volta, il problema della stratificazione catalografica che ci portiamo dietro da secoli.
Le difformità dei nostri cataloghi si possono suddividere in due grandi classi: difformità fisiche, dovute alla loro diversa configurazione materiale, e difformità descrittive, causate dall’adozione di differenti norme di catalogazione. Nelle nostre biblioteche più antiche sono infatti presenti non solo cataloghi composti dalle ormai notissime schede di formato internazionale di 7,5 per 12,5 centimetri, ma anche cataloghi in forma di volume, scritti a piena pagina, come quelli della Biblioteca Estense, su due colonne come alla Marciana di Venezia o con le notizie distribuite su varie finche come quelli della Biblioteca Braidense di Milano. Tra questi cataloghi a volume, ancora in uso e aggiornati per lo meno fino ai primi di questo secolo, sta tutta una gamma di cataloghi a schede mobili che hanno preceduto quelle di formato internazionale e presentano, a seconda dei luoghi e dei tempi in cui furono adottate, diversissime fogge e misure; esse tradiscono spesso la loro origine dai volumi precedentemente in uso, tant’è vero che a volte furono compattate in tanti volumetti, di cui si era fatta banditrice all’inizio di questo secolo la ditta Staderini, quasi fossero ancora le pagine di un volume. Dalla fine degli anni Cinquanta e fino ai giorni nostri, solo in pochi casi fu possibile trasportare con metodi fotografici le descrizioni dei volumi e degli schedari del primo Novecento su schede di formato internazionale ormai in uso ovunque, in modo da poter essere consultate assieme alle nuove accessioni in un’unica serie alfabetica, semplificando così le ricerche dei lettori.
Le differenze più notevoli si riscontrano, però, nelle descrizioni bibliografiche. Nonostante la volontà di giungere a descrizioni uniformi, già perseguite da alcuni sovrani del Settecento in occasione dell’apertura al pubblico delle loro biblioteche, di fatto in Italia, almeno per quanto riguarda l’intestazione del catalogo per autori si giunse a una reale uniformità sull’intero territorio nazionale solo dopo l’adozione presso tutte le biblioteche e non solo presso quelle dello Stato delle Regole Italiane di Catalogazione per Autori (RICA), pubblicate nel 1979. Tra questi due estremi, cioè dal Settecento a due decenni fa, la storia della catalogazione in Italia può essere presentata come un cammino, convergente o divergente, verso l’uniformità descrittiva delle notizie bibliografiche, dapprima all’interno degli stati preunitari e poi, dopo l’unificazione, nella nuova compagine nazionale.
Alcune tappe di questo percorso rendono ragione della complessa stratificazione catalografica italiana e possono essere qui ricordate brevemente. Nel corso del Settecento e nei primi decenni del secolo seguente giunse a termine il lungo processo che ha visto prevalere il catalogo alfabetico per autori sul catalogo per materie, ordinato sistematicamente e tale da offrire al lettore non tanto singole notizie indicizzate secondo sequenze alfabetiche mirate all’individuazione dei libri, quanto piuttosto un castello del sapere strutturato in modo sistematico e raggiungibile solo lungo percorsi affatto originali, svelati dal bibliotecario al lettore sia grazie all’ordinamento dei libri per materie nel grande vaso della biblioteca, sia con la compilazione lunga e laboriosa di un complesso e spesso ammirabile catalogo detto, appunto, per materie. La diffusione e il prevalere dei cataloghi per autori segnò certamente un primo passo verso l’uniformità, poiché i precedenti cataloghi per materia, nei cammini di ricerca proposti, rispecchiavano, fin quasi a crearne una simulazione su carta, la particolare fisionomia di ogni singola biblioteca e sembravano più finalizzati a testimoniare l’erudizione, spesso vastissima in verità, dei bibliotecari che a segnalare speditamente i contenuti dei libri di cui i lettori avevano eventualmente bisogno.
Una seconda tappa fondamentale fu costituita, nell’Italia unita, dalle iniziative intraprese per uniformare, il più possibile, le consuetudini amministrative e catalografiche delle biblioteche ricevute in eredita dai cessati regimi. Il problema della coerenza di procedure fra tutte le biblioteche italiane fu posto fin dal Congresso Internazionale di Statistica tenuto a Firenze nel 1867, ma la soluzione venne solo dopo le proposte della Commissione Luigi Cibrario del 1869 che da una parte suggerì al Ministro di interessarsi espressamente nelle sue decisioni solo delle biblioteche governative, sulle quali si poteva intervenire per via gerarchica, e dall’altra propose - secondo una linea minimale e di fatto rinunciataria - di richiedere una uniformità catalografica circoscritta entro le mura di ogni singola biblioteca, conservando così ciascuna di essa le sue specifiche consuetudini preunitarie, diverse non solo da regione a regione ma anche da biblioteca a biblioteca; si aggiunse, come sempre si fa in questi casi di debolezza istituzionale, l’auspicio per il futuro a operare comunque verso l’uniformità di catalogazione in tutte le biblioteche del Regno.
Fu così che ogni biblioteca cercò di semplificare e di razionalizzare le norme catalografiche già in uso, rimanendo saldamente ancorata alla propria tradizione. Tuttavia, grazie alla grande mobilità dei direttori che erano frequentemente spostati da una sede all’altra, grazie al successo incontrato dai criteri di catalogazione proposti da Giuseppe Fumagalli, ma soprattutto grazie all’apertura a quanto si stava allora dibattendo in Europa e, soprattutto negli Stati Uniti, a proposito dei cataloghi per autori, per soggetti e per classificazione, ci si avviò abbastanza speditamente verso procedure sufficientemente uniformi, anche se solo nel 1921 si ebbe il primo codice nazionale di norme catalografiche, modificato trentacinque anni più tardi, nel 1956. Questi codici di catalogazione, però, furono applicati solo presso le biblioteche statali e non trovarono generale accoglienza presso altre biblioteche. Per giungere a una diffusione capillare delle medesime norme di catalogazione per autori in tutta Italia si dovette aspettare la pubblicazione delle RICA del 1979: solo a partire da questa data, si possono trovare in Italia descrizioni sufficientemente coerenti e uniformi nei cataloghi per autori di tutte le biblioteche della nazione.
L’Italia del resto con queste norme si stava uniformando ai principi internazionali che miravano a garantire l’uniformità e lo scambio di informazioni bibliografiche in tutto il mondo. In questa prospettiva le RICA sono rimaste un codice di catalogazione italiana valido solo per quanto riguarda l’intestazione per autori, ma c’è già chi propone il loro abbandono in favore, tout court, delle norme angloamericane, e chi vorrebbe, per lo meno, riformarle in vista di una seconda edizione. La parte invece delle RICA dedicata alla descrizione bibliografica apparve obsoleta già a partire dalla metà degli anni Ottanta, e lasciò il campo agli standard internazionali dell’ISBD e a tutte le sue applicazioni.
Chi oggi si trova a gestire la transazione dal catalogo cartaceo a quello elettronico, se non vuole limitarsi ad aggiungerne uno nuovo alla lunga serie dei precedenti, deve fare i conti con tutta la tradizione catalografica della propria biblioteca e applicare le più opportune strategie di recupero delle descrizioni bibliografiche da una farragine di notizie e informazioni che, come abbiamo visto, si sono stratificate nel tempo seguendo usanze e consuetudini le più disparate. In alcuni casi dovrà decidere se non valga, addirittura, la pena ricatalogare da capo ogni singolo volume o, per lo meno, avviare procedure di catalogazione derivata da biblioteche che abbiano una descrizione dei medesimi libri più facilmente trasportabile sul nuovo catalogo elettronico.
Mentre infatti in passato la transizione da un catalogo all’altro, da quelli in volume fino agli ultimi su schede mobili, per quanto redatti con criteri difformi e a volte senza alcuna logica, richiedeva al lettore strategie di lettura sostanzialmente omogenee, ora invece il nuovo catalogo esige procedure di ricerca affatto diverse e originali, tali da far apparire non solo opportuno ma anche necessario il versamento di tutti i dati dei cataloghi cartacei in quello elettronico, se non si vogliono creare ostacoli ai lettori. Bisogna insomma portare finalmente a regime, anche in Italia, la prima fase dell’informatizzazione in biblioteca che prevede, appunto, la presenza di cataloghi elettronici che rispecchino in pieno il suo patrimonio librario. Purtroppo, se guardiamo alla nostra storia bibliotecaria degli ultimi tempi, la fiducia nel futuro può rimanere un po’ scossa: a informatizzazione già avanzata, non siamo ancora a regime neppure con i cataloghi cartacei. La grande piaga dell’azione italiana in campo bibliotecario e bibliografico è proprio il non giungere mai a un tranquillo funzionamento a pieno regime: si è sempre alla rincorsa di qualche cosa che si trova sempre un passo più avanti, irraggiungibile. Si avviano grandi imprese senza mai portarle a compimento, perché nel frattempo gli obiettivi da raggiungere sono stati spostati più in avanti dall’evoluzione della disciplina, dalla pratica bibliotecaria degli altri paesi, e soprattutto dal sorprendente sviluppo delle nuove tecnologie. Achille non raggiunge mai la tartaruga. Anzi qui pare che, invertite le parti, sia la tartaruga ad aver concepito il sogno di raggiungere Achille.
Ma forse giova
credere ai sogni. Quando ogni biblioteca avrà completato il proprio catalogo
elettronico con le descrizioni di tutti i libri posseduti, solo allora si potrà
sperare in un proficuo passaggio verso collegamenti in linea con altre biblioteche
o altre agenzie informative in vista di quella sorta di biblioteca virtuale
che, forse, riuscirà ad attuare l’antico progetto italiano di un Catalogo
Unico esteso a tutta la nazione: non più costretto entro il breve spazio
di una pagina scritta, esso si aprirà finalmente all’Europa e al mondo
intero.
Prof. Giorgio
Montecchi
Dipartimento di Scienze
della Storia e della Documentazione Scientifica (Medioevo, Età Moderna, Età
contemporanea)
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