Coordinamento Servizi Informatici Bibliotecari di Ateneo  
Università degli Studi di Lecce

IV SEMINARIO
SISTEMA INFORMATIVO NAZIONALE PER LA MATEMATICA
SINM 2000 : un modello di sistema informativo nazionale per aree disciplinari
Lecce, Mercoledì 4 ottobre 2000, ore 11.00

DOMENICO BOGLIOLO
Sistemi informativi e sistemi cognitivi


We are drowning in information
but starved of knowledge.
                                            John Naisbitt 
If a machine is expected to be infallible,
it cannot also be intelligent.
Alan Turing

Abstract
Abbiamo costruito sistemi informativi d’area disciplinare (come questo per la matematica); l’affermazione di strategie di knowledge management - non solo nel mondo aziendale ma anche in quello delle organizzazioni non profit - suggerisce di provare a trasformarli in sistemi cognitivi.
Perché abbiamo costruito sistemi informativi d’area disciplinare? Che cosa sono i sistemi cognitivi? Qual è la differenza fra i due? Come si costruisce un sistema cognitivo? Come cambierebbe il lavoro del bibliotecario-documentalista e come cambierebbe il lavoro del ricercatore universitario? Di quali risorse e di quale organizzazione ci sarebbe bisogno?

Parole-chiave
Sistema informativo - Sistema cognitivo - DBMS - KBMS - Knowledge management - Learning library - Intelligenza artificiale - Sistemi esperti - Bibliotecari - Documentalisti.


Tutte le organizzazioni creano conoscenza. Nella maggior parte dei casi, però, questo processo è casuale, stocastico e come tale imprevedibile [1]. È però senz’altro possibile (e diventerebbe, quindi, un dovere) modificare le cose affinché la creazione e la diffusione (o disseminazione) della conoscenza escano dall’accidentale, dal fortunoso e dall’episodico per sistematizzarsi in organizzazioni e in processi più razionali ed efficaci, e che nel medesimo tempo riescano a salvare la capra e il cavolo delle libertà di espressione e di creazione insieme con la stabilità e la sicurezza trasmissiva di un sistema di comunicazione omogeneo e controllabile.

Ciò non significa che la produzione della conoscenza debba uscire dalla sfera dell’individuo (o del gruppo) creatore, per diventare appannaggio di organizzazioni, di strutture socializzate (anche se in parte è così). Vogliamo invece dire che nel passaggio di informazione e di conoscenza che avviene fra autore e lettore è possible, e può essere vantaggioso, frapporre una struttura cognitiva che organizzi modi e forme di questa trasmissione e di questa fruizione.

Sarebbe la scoperta dell’acqua calda se ignorassimo che questa struttura già esiste da centinaia d’anni, e che è la biblioteca e, più recentemente, i varî centri d’informazione e di documentazione e i servizî da questi approntati.
Ma c’è invece qualcosa di nuovo da dire (e da fare).

In un recente convegno alle Stelline di Milano, è stata prospettata l’opportunità che le biblioteche si diano un’organizzazione aperta e una “vocazione ambientale”, tali da consentire l’esplicitazione ottimale e di qualità del rapporto triadico fondamentale tra documenti, meccanismi di mediazione semantica e utenti. In quella circostanza [2], però, l’enfasi veniva posta - sia pur correttamente - sugli ultimi due elementi del rapporto: l’intermediazione delle scienze dell’informazione, operata dai bibliotecari-documentalisti, nei confronti - e in collaborazione con - gli utenti, allo scopo di creare una struttura cognitiva (la learning library) capace, da un lato, di facilitare l’apprendimento di tutti i suoi membri (quindi bibliotecari e utenti insieme) e, dall’altro, di trasformare se stessa continuamente, come struttura e come organizzazione, con il modificarsi delle esigenze cognitive dei suddetti membri.

Sono qui evidenti le impostazioni tipiche di quella che possiamo chiamare new age dell’organizzazione aziendale, che ricorre all’impianto di strategie di knowledge management [3], per migliorare la competitività (e quindi il profitto) potenziando la gestione dell’informazione e della conoscenza all’interno e all’esterno dell’organizzazione. Assistiamo, così, al riconoscimento di un nuovo valore attribuito all’informazione, da sempre considerata solo come sotto-prodotto delle attività produttive e commerciali, e assurta solo recentemente (e proprio nel mondo tradizionalmente più restio a investire in cultura e in conoscenza: quello dell’industria e del commercio) a essere riconosciuta come il vero fondamento dell’organizzazione; anzi, l’unica fonte persistente di valore.

È un po’ come se le aziende si fossero svegliate una bella mattina  dicendo di sé: "Non esistiamo per vendere ciò che produciamo. Esistiamo per creare e diffondere conoscenza, e il profitto non è fine a se stesso: è uno degli strumenti della conoscenza", accorgendosi che i proprî dipendenti erano depositarî di un insospettato sapere tacito che andava esplicitato, formalizzato e messo a disposizione per il bene dell’azienda e del mercato e quindi, in ultima analisi, del mondo...
Non posso insistere qui su questo argomento del knowledge management, che devo presupporre come noto. Mi limiterò a presentare la piramide di conoscenza dell’organizzazione intelligente, come la chiama Choo Chun Wei [4], nella quale è presentata in modo esemplare la profonda ristrutturazione delle gerarchie aziendali in dipendenza dell’adozione di strategie di knowledge management.

Torneremo dopo su questa struttura. Quel che ci preme ora di mettere in evidenza è che nel triangolo centrale della figura, quello vuoto e rovesciato, stia virtualmente collocato l’utente dei prodotti dell’organizzazione, il cliente del mercato, colui intorno al quale ruota tutto il senso e il significato dell’organizzazione, sia di quella industriale o commerciale o di servizî, sia di quella che è dedicata alla creazione e alla trasmissione della conoscenza, come le scuole, le università, i centri di ricerca e le loro biblioteche e i loro centri d’informazione e di documentazione.

Nella sua completa appartenenza al piano, anche se è chiamata piramide, la figura ci mostra in modo sintetico ed esemplare, simbolico, il rovesciamento operato dalla learning library quando tutta l’organizzazione esplicita i proprî fini istituzionali integrando l’utente, i suoi bisogni, le sue aspettative al centro della propria ragion d’essere e di funzionare. Ne nasce, tra l’altro, una gerarchia instabile, fluttuante, tantopiù produttrice di valore (e di profitti) quanto più è insatabile e fluttuante.

Ma non è qui il punto. O, almeno, non è questo il punto che c’interessa porre adesso all’attenzione. Tornando, infatti, dal mondo dell’azienda a quello dei documenti, sposteremo l’enfasi, dal secondo e dal terzo elemento (biblioteca e utente), sul primo e sul secondo: la creazione del documento e il suo arricchimento informazionale; o, in altre parole, e per farla breve: autore e biblioteca. La creazione di una struttura cognitiva incentrata prevalentemente, se non esclusivamente, sul rapporto intermediario-utente, lascia fuori, infatti, l’altro elemento, fondamentale, della relazione triadica di cui sopra: autore-intermediario.

Non può esserci vera conoscenza se la stessa fonte della conoscenza viene messa in disparte o, almeno, posta fra parentesi. Nel caso delle scienze dell’informazione, la realtà che dev’essere conosciuta appartiene al mondo del pensiero, al pensiero organizzato nelle forme tipiche della comunicazione scientifica: in due parole, la realtà che dev’essere appresa è costituita da un suo surrogato di second’ordine, cioè le interpretazioni della realtà, o le sue descrizioni (ammesso che si possa descrivere senza interpretare, e quindi modificare), e non la realtà stessa: in sintesi, i documenti scritti, dove per “scrittura” s’intende la formalizzazione condivisa del pensiero, che riflette sul mondo reale, posta su un qualsiasi supporto sufficientemente stabile (se non permanente) da consentirne la circolazione e il reiteramento della circolazione.

Ciò che per l’azienda, che impianta strategie di knowledge management, sono il mercato, la concorrenza, la gestione del personale, l’organizzazione dei processi produttivi, e quant’altro inerisca alla volontà di un’azione economica “sulla” natura; in una parola, ciò che per l’azienda è il cosiddetto “mondo esterno”; per la biblioteca, o per il centro d’informazione o documentazione, è il mondo dei documenti, più o meno multimediali, che costituiscono la “fonte” della conoscenza che dev’essere organizzata.

Ed è qui la novità. Se un sistema informativo si pone l’obiettivo di assicurare il trasferimento ottimale dell’informazione, la sua incidenza sulla creazione della conoscenza avviene soltanto in un dominio derivato (non dico: secondario) di realtà: la creazione e lo sviluppo della conoscenza si avvantaggiano, senza dubbio, di una circolazione dell’informazione efficace e pervasiva, ma le stesse creazione e sviluppo della conoscenza costituiscno un che di diverso rispetto alla circolazione dell’informazione - e, solo in definitiva, della stessa conoscenza.

Viceversa, un sistema cognitivo ha l’obiettivo di fornire mezzi e strumenti (logici e tecnologici) per generare interpretazioni di primo livello del mondo reale.

Una struttura cognitiva non può quindi esimersi dall’incidere sullo stesso oggetto che costituisce la fonte primaria - e anche la giustificazione - della sua esistenza, arricchendo la realtà, mentre una struttura informativa accetta la realtà (in questo caso, dei documenti) e, bibliotecario e lettore insieme, l’arricchisce non di nuova realtà, ma portando alla luce l’informazione che in essa è come nascosta nel contenuto, in questa o in quella piega del linguaggio, dell’icona, del simbolo. L’analisi concettuale del bibliotecario-documentalista è il mestiere della levatrice, la moglie di Socrate, insomma: portare alla luce quanto è implicito, dalla potenza all’atto, avrebbero detto i Tomisti.

Diverso è il cómpito di un sistema cognitivo: gestire il corto-circuito fra autore e lettore, mediante un’organizzazione del lavoro che integra le attività dell’autore e quelle del bibliotecario-documentalista. Abbiamo provato a simbolizzare queste differenze nel disegno che segue (estratto da un nostro ppt).

Succede, così, che la conoscenza tacita che è posseduta dall’autore, e che è fonte creatrice del documento, non possa essere integralmente trasferita in ques’ultimo: il documento rinvierà, alluderà, in misura maggiore o minore, a quella fonte, ma la natura stessa del documento, sia pur multimediale, non potrà offrirne una registrazione esplicita e completa. È per questo, per esempio, che l’iniziazione esoterica si fa in vivavoce, e alla presenza del maestro… Passando dall’autore al documento, c’è quindi una prima caduta ontologica. La conoscenza che, in conseguenza dell’acquisizione del documento, si crea nel lettore, può possedere un grado ancóra inferiore di realtà, perché filtrata dalle caratteristiche umane, intellettuali e spirituali del lettore, la sua capacità di apprendere, la sua sensibilità, il valore delle sue conoscenze precedenti. Un buon sistema informativo (nel caso migliore, la learning library come discussa al recente convegno delle Stelline) può far diminuire l’entropia di questo processo di comunicazione, ma certamente non annullarla, mentre un grado ancora ben minore di entropia sarebbe viceversa raggiungibile qualora fosse possibile creare un corto circuito fra autore e lettore, proprio come nel caso dell’iniziazione esoterica.
È esattamente questa l’ipotesi del sistema cognitivo che, nel caso, tende a interconnettere autore con lettore. E poiché questo contatto non può essere, in assoluto, diretto, come in un rapporto uno-a-uno, il rapporto non può che non essere di uno-a-molti. L’organizzazione è ancora e sempre quella della biblioteca o del centro d’informazione e documentazione, non importa quanto tecnologicamente avanzato. Il professionista dell’informazione fa ancóra da intermediario, ma su un piano superiore di ricchezza ontologica e di efficacia cognitiva, e dunque anche informativa. Non si limita, cioè, a moltiplicare le porte di accesso semantico e semiotico a una base di dati statica (il che non è cómpito da poco), ma a creare chiavi interpretative del pensiero che fluisce dall’autore al lettore. E qui la tecnologia ci dà una mano.

Abbiamo creato (e il processo è eternamente in corso) sistemi informativi di ogni genere; nel caso, sistemi informativi d’area disciplinare che certamente si evolveranno verso una maggior integrazione transnazionale. Il passo successivo non può che riguardare l’ideazione e la realizzazione di sistemi cognitivi d’area disciplinare.

Sui sistemi cognitivi la letteratura è già piuttosto ponderosa. Nati in ambiente d’intelligenza artificiale, sono usciti dalle stanze dei ricercatori quando l’industria ha avuto bisogno di nuovi strumenti per far fronte a nuove sfide del mercato. Applicazioni derivate dalla ricerca operativa, per esempio, impiegate originariamente nella seconda guerra mondiale per individuare a caso un sommergibile nemico in una data porzione d’oceano,  sono state poi usate con successo dal “vecchio” Morse e collaboratori [5] per trovare un libro disperso negli scaffali… Applicazioni storiche d’intelligenza artificiale sono stati i sistemi esperti, creati per aiutare nella presa delle decisioni, dalla diagnosi medica al gioco in borsa. Troviamo applicazioni recenti proprio nei sistemi aziendali costruiti per trasformare la conoscenza tacita in conoscenza esplicita, e riguardano tutte le fasi del processo della conoscenza, dalla sua creazione alla sua acquisizione, alla sua trasmissione.

L’industria sta investendo molti milioni di dollari in questo settore, e non può non farlo, dal momento che i suoi sistemi informativi sono informatizzati e funzionano su reti world-wide, Intranet o Extranet, e sta parallelamente aumentando il numero delle università impegnate in collaborazioni di questo genere: è sufficiente fare un giro sui siti web delle principali università non italiane per rendersene conto.

Se è vero che è dalle università e dai centri di ricerca che l’intelligenza artificiale è uscita per andare incontro alle esigenze del mondo industriale (dai robot per le fabbriche di automobili alla tariffa applicabile al biglietto areo a seconda della previsione o meno del loro esurimento in un determinato volo), è altrettanto vero che i tempi sono più che maturi perché queste realizzazioni, sperimentate nel mondo del profitto, tornino al mondo universitario e della ricerca, per la progettazione di nuovi e migliori servizî e, quindi, per le sue produzioni scientifiche e culturali.

L’unico problema, e non è un problema da poco, riguarda la cattiva fama che sistemi knowledge-based portano sul groppone. Non per insistere, ma una grossa “colpa” maggiore pare che sia degli ingegneri… Sono tanto preoccupati di far funzionare un sistema, che tendono a banalizzarne scopi e processi, per farli gravitare sul sicuro mono-dimensionale e mono-direzionale del sistema informativo, visto che non possono farlo ricadere facilmente (il che sarebbe come il Paradiso) in un sistema di trasmissione di dati, fingendo di trattare “conoscenza”. Un’altra “colpa” pare che sia invece del tempo (cronologico, non atmosferico): strumenti di lavoro come sistemi esperti o sistemi per la presa di decisioni, entrati in commercio qualche decade fa, non avevano avuto modo di apprendere l’ampia gamma di concetti e di ipotesi sorte dal knowledge management: Nonaka comincia a produrre negli anni ’80, e già 15 anni dopo è difficile trovare qualcosa di nuovo sui sistemi KB. Dalla fine degli anni ’90 in poi, viceversa, è un nuovo fiorire di ricerche critiche sui sistemi KB, nel tentativo di trovare nuove fondamenta alla disciplina e alle sue applicazioni. In sostanza, bisognerà aspettare, ma senza perdere la concetrazione sul problema [6].

Ma che cosa serve, in pratica, quando vogliamo costruire un sistema cognitivo orientato a una disciplina? Occorreranno ovviamente un progetto, un  finanziamento, delle risorse tecnologiche e un gruppo di lavoro organizzato, interdisciplinare, composto da esperti del dominio (docenti e ricercatori della materia), esperti dell’informazione (bibliotecarî e documentalisti), e esperti della tecnologia dell’informazione (ingegneri ed esperti d’intelligenza artificiale): in sostanza, le tre componenti che abbimo visto nella piramide di Wei.

Per il metodo lavoro, ci sostiene ancora il knowledge management con le nozioni, elaborate da Nonaka, di processi di creazione di conoscenza “top-down”, “bottom-up” e  “middle-up-down”, per cui torniamo anche al nostro disegno.
In sintesi, il modello di creazione di conoscenza top-down (quello classico, piramidale, tipico dell’azienda tayloristica) può essere assimilato alla creazione di conoscenza che si concretizza nella fruizione di un documento scientifico, scritto da un determinato autore (poco importa, qui, che l’autore sia un individuo o un’équipe: mi riferisco alla fruizione del documento): in questo caso,  la conoscenza esplicita “scende” dal vertice della piramide (l’autore, colui che possiede la conoscenza) verso il lettore, che si pone nei confronti di essa in modo del tutto ricettivo e passivo.

Il modello di creazione di conoscenza bottom-up è invece assimilabile al lavoro del bibliotecario e del documentalista, che lavorano sull’estrazione di informazione al modo della levatrice socratica di cui sopra: il documento ricevuto viene integrato e arricchito di nuova conoscenza su un piano “orizzontale” (non più verticale): l’indicizzazione, la catalogazione, l’addizione di metatag semantici o semiotici (come quelli dell’URL, del DOI, ecc.). Il documento così arricchito viene rimesso in circolazione nelle biblioteche, nelle basi di dati bibliografiche e full-text. Né è secondario il fatto che la creazione di conoscenza bottom-up, quando viene applicata alle attivià bibliografico-documentarie, consenta una positiva presa di coscienza, sia da parte del bibliotecario sia da parte dell’utente, di nozioni essenziali nel campo dell’informazione, come quelli del rumore, della fluttuazione semantica, del caos: una specie d’integrazione di un modello cibernetico alla Wiener con un modello informazionale alla Shannon…

In realtà, ciò che crea veramente conoscenza è l’integrazione dei due modelli: il primo senza il secondo non circolerebbe, non sarebbe trasmissibile se non in un ipotetico spazio a uno-a-uno; il secondo senza il primo non avrebbe senso, mancandogli l’oggetto cui applicarsi. L’integrazione dei due modelli rispetta la priorità ontologica dell’autore e della sua opera, insieme con le capacità elaborative, riflessive, esplicitative degli specialisti dell’informazione che ne arricchiscono il prodotto.

Nonaka introduce invece una nuova modalità di creazione e di trasferimento d’informazione e di conoscenza: chiama “middle-up-down” il modello iterativo continuo attraverso il quale la conoscenza viene realmente creata, centrando l’enfasi sui quadri aziendali intermedi; noi non possiamo più seguirlo, qui, pena lo straniamento delle nostre riflessioni entro un quadro sistematico e concettuale (e con le ovvie sue rigidità terminologiche) affatto differente. Possiamo però sfruttarne l’immagine della necessità di un’integrazione fra “l’alto” e il “basso”, come paradigma di un lavoro comune che effettivamente viene posto in essere, anche se non sempre gli attori sono consapevoli di star partecipando a uno sforzo collettivo.

L’opera dell’autore diventa così assimilabile a un semi-lavorato, che diventa prodotto finito quando esce dalla biblioteca, o dalla base di dati, per essere messo a disposizione del lettore. Una tale organizzazione non può, ovviamente, essere episodica: deve diventare un modo consueto di lavoro, con la collaborazione sistematica delle tre professionalità della piramide di Wei. Ciò non potrà non alterare, all’inizio, i rapporti gerarchici attuali tra le tre professionalità, ma si tratta - il kowledge management lo ha dimostrato - di un’insicurezza gerarchica feconda. La collaborazione delle tre professionalità diventa, insomma, la condizione essenziale per la creazione di un sistema cognitivo della produzione scientifica, nella quale la tecnologia e le acquisizioni dell’intelligenza artificiale cooperano fin dall’inizio, al privo vagito della prima idea creatrice che nasce nella mente dell’autore.

Ed è questa la vera novità, non solo nell’epistemologia del sapere scientifico, o nella gnoseologia, o nella psicologia cognitiva dei singoli e delle organizzazioni, ma anche nella documentazione, nella biblioteconomia cosiddetta “speciale” e, in definitiva, nell’ingegneria dai sistemi.

Adesso, però, alla fine di tutto il discorso, non so come voi matematici che (almeno per la mia passata esperienza di bibliotecario di Matematica) credo condividiate tutti, chi più chi meno, l’abito mentale di chi scrive con il dito sulla sabbia, potreste mai entusiasmarvi all’idea…


Note (ultimo controllo delle url: 1 ottobre 2000):
[1] - Ikujiro Nonaka, Hirotaka Takeuchi, The Knowledge-Creating Company, Oxford University Press, 1995. Trad. it.,  The knowledge creating company. Creare le dinamiche dell’innovazione, a cura di Umberto Frigelli e Kazuo Inumaru, presentazione di Giuseppe Alessandria, Milano, Guerini e Associati, 1997, ISBN 88-7802-816-9
[2] - Giovanni di Domenico, “La biblioteca apprende: qualità organizzativa e qualità di servizio nella società cognitiva”, comunicazione al Convegno La qualità nel sistema biblioteca, Milano, Palazzo delle Stelline, 9-10 marzo 2000. Pubblicata su Biblioteche oggi, maggio 2000, pag. 16-25.
[3] - Mi è comodo rinviare, sul tema, a una serie di miei articoli introduttivi (e alla bibliografia allegata), apparsi fra il 1998 e il 2000 su AIDA Informazioni: 2/1998, pag. 18-22; 3/1998, pag. 8-14; 4/1998, pag. 16-25; 1/1999, pag. 8-15 e alla rubrica “Schegge” sul medesimo periodico, apparsa finora sui numeri 1/2000, pag. 24-28; 2/2000, pag. 13-16. Gli articoli sono accessibili ai soci AIDA anche in formato elettronico su web.
[4] - Information management for the intelligent organization: roles and implications for the information profession, http://128.100.159.139/FIS/ResPub/DLC95.html
[5] - Philip M. Morse, “Search theory and browsing”, Library Quarterly, 1970, 40: 391-408
[6] - Alcuni tra i recenti studi di rifondazione dei KBMS: