Coordinamento Servizi Informatici Bibliotecari di Ateneo  
Università degli Studi di Lecce

IV SEMINARIO
SISTEMA INFORMATIVO NAZIONALE PER LA MATEMATICA
SINM 2000 : un modello di sistema informativo nazionale per aree disciplinari
Lecce, Mercoledì 4 ottobre 2000, ore 9.55

S.MICHAEL MALINCONICO
Dalla gestione dell'informazione alla gestione della conoscenza
[english version]


   Introduzione
In seguito alla rivoluzione industriale il mondo occidentale ha raggiunto un livello di prosperità e, nel bene e nel male, un controllo sull'ambiente, inimmaginabili nei millenni che l'hanno preceduta. Nel corso della storia la stragrande maggioranza degli esseri umani si è dedicata all'agricoltura. A cominciare dalla seconda metà del XVIII secolo, gli uomini in numero sempre crescente si rivolsero ad occupazioni nel campo manifatturiero, o industria. L'industria divenne rapidamente il principale generatore di ricchezza. Alcuni studi hanno dimostrato che negli USA, agli inizi del XX secolo, il maggior numero di persone era impiegato nel settore manifatturiero. [1],[2] Tuttavia, la rivoluzione industriale, e l'economia industriale che questa ha generato ha avuto un regno sorprendentemente breve - appena due secoli. Nella seconda metà del XX secolo, la base dell'economia del mondo occidentale ha subìto un profondo cambiamento. Verso la metà degli anni 1970, in particolare, la maggior parte delle persone non era più impiegata nella produzione di beni, bensì in attività che creavano o trasformavano informazione. Pertanto, si può affermare che viviamo nell'era dell'informazione e che la nostra economia è un'economia dell'informazione. Era facile prevedere che l'economia dell'informazione avrebbe avuto un regno ancora più breve dell'economia industriale. In meno di mezzo secolo, infatti, il centro dell'attenzione si è nuovamente spostato: questa volta dall'informazione alla conoscenza.

La differenza non è puramente semantica. Il cambiamento comporta un'importante differenza nel modo di lavorare. In un ambiente basato sull'informazione, si cerca di catturare il numero maggiore di dati effettivi sul mondo e di dotare le macchine delle particolari competenze di esperti umani – anche se molto più spesso si tratta delle scarse capacità di gente oziosa. Pertanto, sistemi apparentemente intelligenti vengono usati per aggiornare inventari e finanze con precisione e affidabilità tali che gli esseri umani non possono eguagliare; programmi per la progettazione supportati dal computer sviluppano, infatti, progetti estremamente dettagliati, esenti da errori di calcolo, tanto per realizzare strutture semplici come una cucina quanto per strutture complesse come un aereo per voli intercontinentali; programmi per il settore manifatturiero supportati dal computer consentono alle macchine di produrre parti complesse che sono in genere più precise di quelle prodotte da operatori umani; programmi editoriali compongono pagine quasi altrettanto belle quanto quelle prodotte dai migliori tipografi; sistemi per il recupero di informazioni rispondono a certe classi di domande richiamando informazioni precedentemente immesse da esperti umani, ecc. Ad ogni modo, un numero sempre maggiore di imprese si sta rendendo conto che alla base del vantaggio economico ci sono l'innovazione e la soluzione creativa dei problemi. I sistemi di informazione non sono né creativi né stimolano in modo particolare la creatività. Pertanto, molte imprese si stanno ora dedicando alla creazione di organizzazioni educative nel tentativo di dare ai loro dipendenti maggiore possibilità di esprimere la propria creatività.

Molte organizzazioni, così come anche molti manager illuminati, intuiscono tutto questo. Sempre più organizzazioni stanno creando degli incarichi come Funzionario della Conoscenza o Funzionario dell'Apprendimento, tanto che ne é derivata una disciplina di gestione, la gestione della conoscenza. Nel 1997, più di 100 fra le 500 società identificate annualmente dalla rivista Fortune come le società più fiorenti degli USA, avevano già creato un incarico corrispondente per responsabilità a quello di Funzionario della Conoscenza.[3]  I manager che sostengono questi programmi, però, non possiedono le misure adeguate per giudicare l'efficienza o la relativa efficienza dei programmi o per giustificare gli stessi agli occhi dei dirigenti al vertice o degli azionisti. Ovviamente si tratta di un problema di sistema di misurazioni. E' relativamente facile identificare i costi associati ai programmi di gestione della conoscenza, ma non è altrettanto facile calcolare la misura del loro apporto nel conseguimento delle mete di un'organizzazione. Benché ci sia stato qualche progresso al riguardo, la faccenda è ancora lungi dall’essere risolta. Questo problema potrebbe forse suscitare l'interesse dei matematici applicati. Comunque, torneremo sul problema del sistema di misurazioni più avanti. Per il momento, esaminiamo cosa sia la gestione della conoscenza.

   Dati, Informazione, Conoscenza
Gli autori nel campo dell’informatica sprecano spesso un'enorme quantità di tempo a discutere la differenza fra dati, informazione, dati, conoscenza e saggezza. In breve: i fatti individuali costituiscono i dati. I dati presentati o risistemati in modo da farne emergere la relazione divengono informazione. L'informazione supportata da teorie che spiegano le relazioni fra i fatti, che può essere usata per prendere delle decisioni, vale a dire l'informazione “azionabile”, costituisce la conoscenza. La capacità di prendere la migliore, o almeno, una buona decisione costituisce la saggezza. Possiamo illustrare la differenza con un esempio. Se siamo a conoscenza del numero di articoli che una ditta vende ogni giorno, nella maggior parte dei contesti - e per la maggior parte degli osservatori - questi numeri, o fatti, sono dati grezzi. Infatti, spesso indichiamo una raccolta di fatti come dati grezzi per accentuare l'idea che questi non sono stati ancora elaborati o interpretati. D'altra parte, se conosciamo il numero di ciascun tipo dei prodotti venduti da una ditta in un mese in varie zone, abbiamo informazione sulle vendite di quella ditta. Se ora volessimo scavare più a fondo per scoprire i motivi delle differenze nelle vendite in ciascuna zona o in ciascuna stagione, potremmo ottenere conoscenza sull’attuale rendimento di una ditta e probabilmente anche sui risultati futuri. Con questa conoscenza potremmo sviluppare una strategia in grado di offrire in futuro a questa ditta dei vantaggi competitivi. Si può inoltre notare che la conoscenza che possediamo potrebbe suggerire strategie alternative e che la scelta della migliore alternativa comporta l'uso della saggezza.

Sfortunatamente, queste distinzioni non sono così precise come molti autori ci vorrebbero fare intendere. Le distinzioni non sono tanto facili, né si possono sistemare semplicemente come punti distinti in uno spazio monodimensionale. Le differenze dipendono spesso dal contesto. Pertanto, ciò che in un contesto può essere informazione, in un altro è solo un insieme di dati. Qualcuno potrebbe affermare, ad esempio, che siano necessarie ulteriori informazioni relative alla demografia delle varie zone prima di avere informazione azionabile, o conoscenza. Allo stesso modo, si potrebbe affermare che la differenza fra una buona e una cattiva decisione sia la conseguenza di informazione inadeguata. Fortunatamente, non dobbiamo preoccuparci di tutte queste sottili distinzioni. Potremmo avere bisogno, tuttavia, di fare una distinzione fra due diversi tipi di conoscenza: la conoscenza esplicita e la conoscenza tacita.

   Conoscenza esplicita e conoscenza tacita
La conoscenza esplicita è conoscenza articolata, vale a dire, fatti o modalità specifiche per fare qualcosa. La conoscenza tacita è, invece, inarticolata. La conoscenza tacita è la conoscenza che gli esperti hanno sul come fare le cose, cioè, la capacità che alcuni individui hanno di risolvere particolari tipi di problemi o la capacità di elaborare dei buoni giudizi basati sull'esperienza. La conoscenza esplicita viene talvolta definita come know that (sapere che), mentre la conoscenza tacita viene definita know how (sapere come). Tutta la conoscenza risiede nella testa delle persone. La conoscenza esplicita può essere articolata, catturata immediatamente e memorizzata nelle banche dati. Questo è stato per tradizione il dominio della gestione dell'informazione. La conoscenza tacita, d'altra parte, è effimera. Comprende pareri soggettivi, intuizioni e modi di vedere le situazioni. La conoscenza tacita è altamente personale, difficile da formalizzare e, pertanto, difficile da comunicare agli altri. Per usare le parole di Michael Polanyi, "possiamo saper più di quanto siamo in grado di raccontare".[4] La conoscenza tacita può essere trasformata in conoscenza esplicita prima di essere “esternalizzata”, trasmessa e memorizzata. Le organizzazioni, quando la conoscenza viene trasformata da una forma all'altra e comunicata, compiono un passo in avanti nel processo di apprendimento.

Ikujiro Nonaka, uno dei più importanti autori di pubblicazioni sulla gestione della conoscenza, offre un'interessante illustrazione del processo di trasformazione da conoscenza tacita in esplicita e nuovamente in conoscenza tacita. La Matsushita, una tra le più importanti industrie manifatturiere giapponesi, aveva avviato un programma per la progettazione di una macchina impastatrice per uso domestico. Gli ingegneri della Matsushita crearono dei prototipi di macchine che facevano un pane giudicato mediocre. Alcuni degli ingegneri sapevano che l'Hotel International di Osaka aveva un cuoco con la fama di fare dell’ottimo pane. Ikuko Tanaka, una fra gli ingegneri coinvolti nel progetto, si offrì volontaria come apprendista del cuoco per imparare i segreti per fare un pane eccellente. Dopo diverse settimane di lavoro con il cuoco, Tanaka scoprì che la differenza fra il prototipo di impastatrice della Matsushita e quest’ultimo era il modo in cui questi stendeva la pasta. Dopo che Tanaka ebbe riferito la nuova scoperta al gruppo di ingegneri, questi aggiunsero alla macchina delle alette per stendere la pasta. Ne risultò un pane notevolmente migliore. Infatti, la macchina per il pane divenne uno dei più venduti fra i prodotti della Matsushita. Il risultato fu al contempo un prodotto più che eccellente e un successo commerciale che portò ad un cambiamento culturale all'interno della società. Gli ingegneri acquisirono, e quindi “internalizzarono”, l'idea che dei buoni prodotti portano ad un successo commerciale. Di conseguenza, si può affermare che la prossima volta che il gruppo si troverà di fronte ad una situazione simile, i tentativi di giungere a dei compromessi incontreranno molto probabilmente una decisa opposizione.There are four possible knowledge transformations:

Esistono quattro possibili trasformazioni della conoscenza:
• Tacita   ® Tacita
• Ad esempio, l'apprendistato di Tanaka.
• Esplicita   ® Esplicita
• Non illustrata finora.
• Le trasformazioni della conoscenza esplicita in altre forme di conoscenza esplicita. Queste trasformazioni di solito non creano nuova conoscenza.
• Tacita   ® Esplicita
• Ad esempio, quando Tanaka spiegava, e quindi articolava, agli altri ingegneri quanto aveva appreso.
• Esplicita   ® Tacita
• Ad esempio, la conoscenza esplicita condivisa e internalizzata quando fu notata la connessione fra qualità del prodotto e successo modificando la cultura del gruppo di ingegneri.

   Gestione degli ambienti della conoscenza e della comunicazione
Manager e autori nel campo della gestione riconoscono ormai che le banche dati più preziose che ogni organizzazione possieda si trovano nella testa dei dipendenti e che esiste un enorme vantaggio nel collegare queste banche dati. Questo è l'obiettivo fondamentale della gestione della conoscenza. Ma la gestione della conoscenza è essenzialmente un paradosso: se la conoscenza si trova realmente nella testa delle persone, allora non può essere gestita. I sostenitori della gestione della conoscenza riconoscono questo fatto e cercano invece di creare e gestire ambienti in cui la conoscenza possa essere creata, accresciuta e sfruttata a vantaggio dell'impresa. La conoscenza cresce quando viene trasmessa e scambiata. I manager, sia generici che tecnici, possono creare e sostenere programmi e infrastrutture che facilitino lo scambio e il riutilizzo dell’informazione. Gran parte delle organizzazioni ha un patrimonio di conoscenza inutilizzato che spesso si deve ricreare con costi elevati semplicemente perché coloro che ne hanno bisogno ne ignorano l’esistenza. Questo è vero in modo particolare per le grandi organizzazioni. Infatti, Carla O'Dell, presidente del Centro Americano per la Qualità della Produttività, e C. Jackson Grayson, ex direttore di una Commissione per il Controllo dei Prezzi del Presidente Nixon, hanno scritto un noto libro sulla gestione della conoscenza. Il titolo è, If only we knew what we know (Se solo sapessimo quello che sappiamo).[5] Il titolo riprende, in realtà, quanto Jerry Junkins, ex Direttore Generale della Texas Instruments, una volta affermò in un suo discorso.[6] O'Dell e Grayson citano anche Lew Platt della Hewlett Packard, che disse, "Vorrei tanto sapere quello che sappiamo alla HP".[7]

Le infrastrutture della comunicazione e le tecnologie delle banche dati possono essere strumentali nel sostenere i programmi di gestione della conoscenza. I sistemi di comunicazione, come Intranet, consentono alle persone all'interno delle organizzazioni di comunicare e condividere conoscenza senza tener conto della distanza fisica. Banche dati facilmente accessibili, provviste di capacità e competenze, talvolta note come pagine gialle organizzative, permettono a persone con un problema da risolvere di trovarne facilmente altre all'interno dell'organizzazione che hanno precedentemente risolto problemi simili o che hanno la competenza e le capacità necessarie a risolverlo. In molte organizzazioni, le banche dati delle migliori procedure interne ed esterne, facilmente accessibili, ne hanno già dimostrato la validità. Ad esempio, nel 1994 Tom Engibous, presidente del Gruppo Semiconduttore della Texas Instruments, notò una marcata differenza nella produzione dei vari impianti di fabbricazione di fette di silicio dell’azienda. Engibous si rese conto che potendo portare tutti gli impianti al livello del migliore, la TI avrebbe ottenuto dei vantaggi significativi. Dette così istruzioni ai manager degli impianti di fabbricazione di creare un impianto a costi nulli identificando e poi adottando i migliori processi impiegati nei 13 impianti per la produzione di fette di silicio della Texas Instruments. I manager dell'impianto avvalendosi delle varie tecnologie di comunicazione e attraverso incontri personali raggiunsero, così come era stato loro indicato, un aumento nella produttività di 500 milioni di dollari USA. Il costo di un nuovo impianto fu valutato fra i 500 milioni e un miliardo di dollari.[8]  Identificare e raccogliere informazioni sulle migliori procedure nell'ambito di un'organizzazione o di un'industria e registrare quell'informazione in una banca dati è oggi una tecnica standard di gestione della conoscenza, nota come “benchmarking” (usare delle misure di valutazione). Ma non è stata la TI a dare origine a questa pratica. La Arthur Andersen lo faceva in maniera organizzata già dal 1992.

Poiché, in genere, la gestione della conoscenza si basa più sulle iniziative di gestione e sul cambiamento culturale che sulle infrastrutture tecnologiche, i manager possono, ad esempio, creare e incentivare una cultura in cui la conoscenza venga condivisa piuttosto che accumulata per vantaggi personali premiando coloro che riutilizzano la conoscenza piuttosto che ricrearla. Gran parte delle organizzazioni ammettono che la conoscenza equivale a potere. Gli individui imparano, così, ad accumulare informazione e conoscenza. Uno degli obiettivi principali della gestione della conoscenza è modificare quella cultura dando riconoscimento a quegli individui che condividono la conoscenza in maniera attiva e proficua. Ad esempio, dalla metà degli anni 1990, la Price Waterhouse ha aggiunto la condivisione di conoscenza al proprio sistema di valutazione del rendimento. I dipendenti devono essere in grado di dimostrare di essere stati impegnati in attività di condivisione di conoscenza impartendo istruzioni, dando consigli, con lavoro di tutorato, di pubblicazioni, di presentazioni, ecc.[9]  I manager possono anche incoraggiare lo scambio e la condivisione di conoscenza facilitando la comunicazione fra i membri di un’organizzazione, ad esempio, creando ambienti di lavoro attraverso la progettazione di uffici aperti, comode sale per la ricreazione che incoraggino la comunicazione informale, e altre opportunità per i membri dell’organizzazione di socializzare, ecc.

Tuttavia, l’infrastruttura tecnologica gioca ancora un ruolo essenziale. Le attuali organizzazioni sparse in tutto il mondo hanno un particolare bisogno di infrastrutture adeguate. Un numero sempre maggiore di persone che lavorano in tali organizzazioni si ritrova a lavorare in ambienti virtuali con colleghi che si trovano dall’altra parte del mondo e a decine di fusi orari di distanza. Per molte organizzazioni, dunque, la connessione in rete è di necessità divenuta quasi onnipresente. Gli operatori della conoscenza e i gruppi di lavoro virtuale hanno caratteristiche ed esigenze particolari. L’accesso dal desktop in maniera integrata a risorse informatiche interne ed esterne è loro essenziale per poter operare in maniera efficiente. Fornire e mantenere questi servizi è un’importante funzione della gestione della conoscenza.

Pertanto, i manager della conoscenza devono essere esperti tanto di sociologia quanto di tecnologia. Devono essere in grado di comprendere le dinamiche che governano il modo in cui le persone si comportano, apprendono, e interagiscono, come anche ciò che le motiva a contribuire all’attività collettiva. Devono anche avere familiarità con le più recenti tecnologie per la comunicazione e l’elaborazione dell’informazione. In fine, devono essere in grado di combinare questi tipi di conoscenza molto diversi tra loro per risolvere i problemi e sfruttare le occasioni.

   Lavoro di conoscenza
Le particolari competenze dei professionisti nel campo della gestione della conoscenza sono divenute tanto preziose per le grandi imprese, quanto lo sono le competenze specialistiche dei manager in campo finanziario, degli esperti nello sviluppo del prodotto o degli addetti alle relazioni umane. La maggior parte del prodotto interno lordo, cioè il valore totale di tutti i beni e i servizi, delle nazioni del mondo occidentale, viene dal lavoro di informazione, o conoscenza. I prodotti del lavoro di conoscenza attirano in maniera particolare uomini d’affari e investitori giacché il lavoro di conoscenza crea ricchezza dal nulla! Non consuma praticamente materie prime. Le tecnologie elettroniche, motore trainante delle attuali economie mondiali del boom, consumano solo sabbia e piccole quantità di metallo e di plastica. La creazione di software non comporta assolutamente il consumo di materie prime. Il lavoro di conoscenza consiste nell’analisi dell’informazione e nell’impiego di competenze specialistiche per risolvere i problemi - dominio proprio dei consulenti e delle società di consulenza, come la Arthur Andersen - come anche la creazione di idee, prodotti e servizi nuovi.

L’economia del mondo occidentale è necessariamente dominata dal lavoro di conoscenza. I prodotti e i servizi creati dalle attività nel mondo occidentale, se vogliono competere con successo sui mercati, devono contenere una significativa componente di conoscenza. Ad esempio, montare scarpe sportive Nike comporta soprattutto lavoro fisico. Progettarle e immetterle sul mercato comporta invece lavoro di conoscenza.

Insegnare agli altri è la forma più ovvia di lavoro di conoscenza. L’istruzione è già un grosso affare che sta crescendo al pari di un’impresa commerciale. L’istruzione oggi compete con la sanità in qualità di maggiore industria degli USA. L’investimento privato in università on-line e nell’istruzione per adulti è già significativo e in crescita. Uno dei maggiori investitori è Michael Milken, il finanziere che finì in carcere per il coinvolgimento nell’affare dei junk bonds (titoli ad alto rendimento ma a rischio elevato) verso la metà degli anni ‘80. Negli USA questi titoli senza garanzia contribuirono al crollo di numerose società di risparmio e di prestito. Milken si unì a Larry Elison, Presidente della Oracle Corporation per costituire la Knowledge Universe, pubblicizzata come “società di formazione dalla culla alla tomba”. Già nel 1999 la Knowledge Universe aveva un reddito di 1,2 miliardi di dollari USA.[10],[11]

Si valuta che college ed università degli USA offrano già 90.000 corsi di formazione a distanza. Molte università di tradizione che vogliono espandere il proprio campo d’azione senza dover sostenere i costi di un’espansione fisica delle proprie strutture, trovano molto interessante offrire corsi in rete. Molte si sono riorganizzate impegnandosi in imprese Web a scopo di profitto come la Morningside Ventures della Columbia University o la NYU Online della New York University. Esistono inoltre centinaia di piccole imprese accademiche commerciali.[12]

La stessa istruzione tradizionale basata sui campus è stata a lungo un’esportazione allettante per alcuni paesi. Gli studenti che frequentano l’università di un paese straniero, pagano le lezioni che costituiscono un prodotto straniero comprato dai paesi di appartenenza degli studenti contribuendo in tal modo al bilancio relativo degli scambi commerciali fra i due paesi. Infatti, uno dei settori in cui gli USA hanno un sano bilancio commerciale positivo è l’istruzione. L’esportazione di servizi educativi (9 miliardi e 600 milioni di dollari USA) ha cancellato il 10% del deficit commerciale americano del 1999 (86,2 miliardi di dollari USA).[13]  Poiché Internet non conosce confini nazionali, c’è tutto un mercato globale di offerte di corsi on-line. Per il contributo che questi servizi possono dare alle economie nazionali, c’è da aspettarsi che i paesi occidentali cercheranno di sfruttare attivamente questa opportunità.

E’ difficile esagerare l’importanza di un’educazione continuata e dell’acquisizione di conoscenza. Il Premio Nobel, Arno Penzias, ben descriveva la situazione in un discorso nel 1995 quando diceva, “Penso che oggi siamo la prima generazione nella storia umana in cui la conoscenza è destinata a divenire obsoleta, non solo una volta, ma parecchie volte nel corso della nostra carriera”.[14]

    Lavoro di conoscenza e lavoro fisico
L’obiettivo della gestione della conoscenza è sostenere il lavoro di conoscenza e renderne più efficienti gli operatori. Pertanto, prima di andare avanti, analizziamo per un momento le caratteristiche del lavoro di conoscenza. Abbiamo già classificato la conoscenza in: conoscenza esplicita - know that - e conoscenza tacita - know how. Introduciamo ora un’altra dimensione in cui differenzieremo la conoscenza in elementare, applicata o creata. La conoscenza elementare è una raccolta di fatti (dati). La conoscenza applicata consiste nei procedimenti per fare le cose. E la conoscenza creata è quella conoscenza che viene prodotta per il particolare compito del momento. Con questa nuova distinzione possiamo mettere più facilmente in contrasto il lavoro fisico e quello di conoscenza e comprendere meglio il lavoro di conoscenza contrapponendolo a quello fisico che è più facile da afferrare a livello intuitivo.

Possiamo mettere in contrasto i due tipi di lavoro prendendo in considerazione il modo in cui essi differiscono rispetto a certe caratteristiche fondamentali: compiti di base, competenze adeguate, processi lavorativi, produzione del lavoro e tipo di conoscenza impiegato. Prima bisogna, però, notare che tutti i tipi di lavoro comprendono vari compiti e che, come vedremo, le differenze fra le caratteristiche del lavoro fisico e quelle del lavoro di conoscenza non sono poi tanto nette.[15]

Possiamo, comunque, identificare dei compiti di base che differenziano il lavoro fisico da quello di conoscenza. Il compito di base del lavoro fisico comporta il fare mentre il compito di base del lavoro di conoscenza comporta il pensare. Tutti i lavori richiedono che coloro che li svolgono possiedano le competenze adeguate allo scopo di operare al massimo dell’efficienza. Ovviamente, le competenze adeguate per il lavoro fisico sono fisiche, mentre le competenze fondamentali per il lavoro di conoscenza sono mentali. La natura dei processi usati è un’altra caratteristica distintiva dei tipi di lavoro. Il lavoro fisico generalmente usa dei processi lineari. I procedimenti sono di solito predefiniti e le loro fasi individuali vengono eseguite in sequenza. Il lavoro di conoscenza, invece, comporta spesso processi imprevedibili che sfidano in genere la semplice descrizione come, ad esempio, nel caso della progettazione di un nuovo prodotto. Il risultato di un lavoro fisico è solitamente un prodotto tangibile. Il risultato del lavoro di conoscenza è molto più difficile da descrivere. Di solito si tratta di informazione. L’informazione che riduce l’incertezza, che risponde alle domande, che dà una certa indicazione, ecc. In breve, il lavoro di conoscenza produce in genere altra conoscenza. E’ questo che lo rende così prezioso, e per questo siamo tanto interessati alle sue caratteristiche. Infine, possiamo contrapporre il lavoro fisico a quello di conoscenza in base al tipo di conoscenza che ciascuno impiega. Il lavoro fisico in genere utilizza conoscenza applicata, ad esempio, la conoscenza dei procedimenti, “vale a dire come si manovrano determinati attrezzi”, “vale a dire come gli attrezzi sono usati per fare una data cosa”. Anche il lavoro di conoscenza si affida alla conoscenza applicata, ma gli operatori di conoscenza, allo scopo di risolvere il particolare problema che si trovano ad affrontare, devono spesso creare nuova conoscenza.

Quando il lavoro di conoscenza è fatto bene, dunque, produce altra conoscenza. Il processo di creazione di questa nuova conoscenza è spesso imprevedibile e molto costoso in termini di sforzi impiegati e di tempo consumato. Pertanto, le imprese che si affidano agli operatori di conoscenza sono molto interessate a trovare dei modi di mettere tali operatori nelle condizioni di essere più produttivi. Preferiscono evitare, se possibile, la spesso sostanziale fatica necessaria per ricreare conoscenza già creata in precedenza all’interno dell’organizzazione. Poiché queste aziende conducono di solito i loro affari là dove il prodotto del lavoro dei loro operatori di conoscenza prevedono un successo di mercato, sono molto disponibili nei confronti di programmi che accrescono la quantità e la qualità della conoscenza che i dipendenti creano - molto spesso quella conoscenza rimane chiusa nel cervello di qualcuno dei dipendenti, in altri casi viene condivisa da gruppi di lavoro, e talvolta viene "esternalizzata" e può essere catturata in una banca dati.

I casi più ovvi di quanto detto finora si trovano nelle società di consulenza, aziende specializzate nel vendere conoscenza e competenze. Infatti, la gestione della conoscenza ha le radici nel lavoro svolto da società di consulenza come la Arthur Andersen, la Cooper & Lybrand, la Ernst & Young, la Mckinsey, la Price Waterhouse, ecc., in modo particolare la Arthur Andersen.

Agli inizi degli anni ‘90, la Arthur Andersen (AA) cominciò a creare una banca dati, la Global Best Practices (GBP), un archivio delle migliori procedure di affari di varie industrie. La banca dati fu riprodotta su CDRom e messa a disposizione degli oltre 40.000 consulenti professionisti della AA. Questo corpo di conoscenza in continua crescita fu usato per aiutare i clienti della Arthur Andersen a migliorare i risultati dei loro affari. La banca dati Global Best Practices si rivelò uno strumento notevolmente versatile. Conteneva, ad esempio:

•    Informazioni sulle migliori procedure

•    Rilevante esperienza di impegno della Arthur Andersen

•    Strumenti diagnostici

•    Presentazioni realizzabili su misura

•    Definizione dei processi ed elenco degli esperti interni[16]

La GBP, in breve, si rivelò un magnifico strumento di mercato per una società di consulenza. Facendo ricorso alla banca dati BGP, i consulenti risparmiavano la fatica di ripetere la stessa ricerca per ciascun cliente ed erano in grado di mettere insieme delle presentazioni professionali per futuri clienti con ben poca fatica. Ciò consentiva loro di portare a termine compiti e di procurarsi appuntamenti in meno tempo e dava anche loro la possibilità di dedicarsi alle esigenze particolari dei clienti con meno fatica.

Nel 1996 divenne poco pratico sostenere la tempestività della GBP basata su CDRom. Inoltre, si scoprì che l’interfaccia dell’utente impediva agli utenti di fare il miglior uso della sua ricca banca di conoscenza. Di conseguenza, il Business Consulting Group della Arthur Andersen creò un nuovo strumento basato su Intranet, il Knowledge Space,[17]  comprendente una visita accessibile a tutti allo scopo di dimostrarne le possibilità.[18] Il Knowledge Space, chiamato anche Knowledge Xpress, è stato definito uno dei più ambiziosi progetti per la gestione della conoscenza.[19]

  Componenti di conoscenza del lavoro operaio
Gran parte del lavoro nel mondo occidentale comporta elementi di lavoro di conoscenza - e, infatti, il fenomeno è in costante crescita per molte attività. Ad esempio, i meccanici non diagnosticano più i problemi delle automobili aprendo il cofano per controllare il motore e la trasmissione. Diagnosticano i problemi facendo ricerca nelle banche dati contenenti problemi noti e loro soluzione. Gran parte dei lavori richiedono oggi una dose di improvvisazione. Non basta più seguire solamente dei procedimenti prestabiliti. Larry Neihart, presidente della Diesel Workers Union, in un discorso fatto alla vigilia del suo ritiro dalla Cummins Engine - produttrice di motori diesel usati dagli autoveicoli pesanti negli USA – affermava al proposito:

“Qui le tecnologie vanno aumentando ad una velocità incredibile. C’è quasi bisogno di un dottorato tecnico per far funzionare le macchine che usiamo per fare i motori al giorno d’oggi.”[20]

Questa affermazione è dovuta alla quantità e alla natura della formazione che i dipendenti dell’impianto Cummins ricevono. A ciascun dipendente sono richieste quasi 300 ore di formazione, fra cui, 72 ore di matematica, 37 ore di statistica e 56 ore di tecnologia dei processi e dei prodotti.[21]

   Squadre operative
Molte imprese, fra cui la Cummins Engine, si stanno oggi orientando verso una struttura organizzativa basata su squadre operative autogestite, passando così da gruppi funzionali a gruppi di attività, cioè, gruppi responsabili di compiti completi, non più di funzioni individuali. Le squadre operative autogestite devono essere in grado di prendere decisioni e di risolvere problemi. Di conseguenza, esse necessitano di una sempre maggiore cultura nel campo degli affari nonché dell’accesso all’informazione che consenta loro di prendere delle buone decisioni e di risolvere i problemi. La disponibilità di sistemi di informazione integrati, accessibili a tutti, consente di avere le informazioni necessarie per portare a termine compiti completi anziché funzioni frammentarie. Intranet e le interfacce dei browser rendono possibile un proficuo accesso, quando se ne presenti il bisogno, ad una vasta gamma di fonti di informazioni disparate ma collegate fra loro.

Nelle organizzazioni gerarchiche tradizionali, l’ordine e la costanza si ottengono attraverso la direzione di gestione, la dipartimentalizzazione, con regole e procedure formalizzate. Il controllo della qualità viene assicurato con le verifiche. I ruoli dei dipendenti tendono ad essere altamente specializzati. Le squadre operative autogestite, invece, operano con controllo esterno minimo. Ricorrono piuttosto all’accesso all’informazione e alla comunicazione  per coordinare e controllore le proprie attività. Interventi adeguati di gestione della conoscenza possono favorire la produttività, la qualità del lavoro nonché la capacità di autogestirsi delle squadre operative. Già numerosi industriali hanno sostituito i controlli gerarchici con sistemi informatici. Gli operai dell’impianto di lavatrici della General Electric hanno la possibilità di vedere su uno schermo, in tempo reale, i difetti più frequenti del momento. Un impianto per la produzione di circuiti stampati della Hewlett Packard usa un pannello di controllo che mostra dati fondamentali di produzione che non risalgono mai a più di 15 minuti. Tali dati consentono agli operatori delle apparecchiature e agli ingegneri di identificare i problemi e di passare ad un’azione correttiva prima che si verifichino dei danni gravi. Un tabellone elettronico che tutti i dipendenti possono vedere mostra dati relativi alla qualità e alla produttività. Lo schermo consente a tutti coloro che lavorano in un dato impianto di sapere in tempo reale se il numero di motori che si produce al momento basta a raggiungere le mete di produzione.[22]

Le squadre operative autogestite ricorrono alla formazione e alla riprogrammazione del lavoro piuttosto che a un’ispezione a posteriori e a nuovo lavoro per verificare i difetti della produzione. Essendo le squadre responsabili di attività complete, tendono a creare membri con varie competenze. La formazione, la comunicazione e l’accesso all’informazione sono essenziali per il successo delle organizzazioni  che conducono un lavoro di squadra.

Queste considerazioni si applicano in genere tanto alle squadre impegnate nel lavoro fisico tanto a quelle impegnate nel lavoro di conoscenza, benché esistano delle differenze. Comunque, poiché queste differenze non influenzano materialmente la nostra discussione, le ignoreremo in questa sede.

   Squadre di conoscenza virtuale (VKT)
Le moderne imprese sono sparse in tutto il mondo e, di conseguenza, anche i gruppi di lavoro, o i membri delle squadre operative, sono lontani fisicamente. Operai con particolari competenze vengono inviati dove è necessario il loro intervento. Data l’estrema disponibilità di moderni servizi di comunicazione, molte persone non hanno un ufficio specifico ma occupano uno spazio comune per la durata di un particolare incarico, prassi nota come hoteling. Alcuni impiegati lavorano prevalentemente nelle proprie case; incontrano i clienti nei loro uffici e si recano in una sede lavorativa centrale solo quando è necessario svolgervi degli affari di persona.

I vantaggi economici e produttivi sono spesso notevoli e sufficienti a compensare i costi delle infrastrutture aggiuntive e gli altri costi ad esse relativi. Ad esempio, la IBM fornisce ad alcuni dei suoi rappresentanti un computer portatile, il software, due linee telefoniche private, un fax, una stampante e un telefono cellulare con un costo di circa 8.000 dollari USA per impiegato. La IBM ricava un bel ritorno da questo investimento. Si stima che l’azienda risparmi il 50% sui costi immobiliari relativi allo spazio-ufficio che sarebbe necessario per sistemare queste persone.[23]

Tutto ciò rappresenta una sfida particolare per i manager della conoscenza. Per prima cosa, questi devono garantire che sia implementata e mantenuta l’infrastruttura tecnologica necessaria a sostenere squadre operative ad hoc e i loro membri. Devono inoltre essere consapevoli, e dunque rendere minime, quelle conseguenze sociali negative che potrebbero minare soluzioni tecnologiche altrimenti efficienti. E’ particolarmente difficile incoraggiare i contatti personali che portano allo scambio di conoscenza fra i membri di una squadra operativa lontani fisicamente fra loro, pertanto, i manager della conoscenza devono essere particolarmente creativi se vogliono affrontare questo problema.

La Hewlett Packard impiega una squadra di individui scelti conosciuta come Strategic Alignment Services Team (SAS). La squadra è formata da specialisti in progettazione organizzativa, analisi e strategia degli affari, ecc., la cui responsabilità consiste nell’aiutare a lavorare in maniera più efficiente i gruppi che si trovano in qualsiasi impianto dell’organizzazione mondiale della HP. Si tratta di un gruppo di consulenti interni altamente specializzati. Il loro posto di lavoro si trova dovunque sia necessaria la loro competenza specifica. In realtà, non hanno bisogno di una sede fissa. La Hewlett Packard fornisce ciascuna delle loro case di un ufficio perfettamente funzionante. Tutti i membri del gruppo sono completamente attrezzati per essere mobili insieme a gran parte delle attrezzature d’ufficio che hanno in casa.[24] Tuttavia, poiché una sede comune incoraggia un’identità comune, la Hewlett Packard riserva dello spazio per i suoi dipendenti, anche se questi lo usano raramente. Si tratta, infatti, di una circostanza alquanto insolita.[25]

Una soluzione più pratica ed economica è stata messa in atto in uno degli impianti della IBM. Ai membri di una squadra di operatori della conoscenza, che spesso lavorano sul campo o in casa, viene fornito dello spazio-ufficio. Lo spazio è sufficiente solo per metà della squadra per volta. Lo spazio-ufficio consiste in una serie di moduli cubicolari non assegnati ad alcun dipendente in particolare, con telefoni e altre attrezzature per ufficio, nonché di connessioni alla rete di dati della IBM per i computer portatili. Ognuno usa un qualsiasi modulo libero quando si trova nell’impianto. Allo scopo di personalizzare lo spazio lavorativo, ciascun dipendente dispone di quasi un metro quadro su di un lungo muro, lateralmente al complesso di moduli, che può essere riempito con effetti personali come fotografie, attestati, opere d’arte dei figli dei membri della squadra, ecc.[26]

Alcune organizzazioni usano un approccio opposto: mettono insieme squadre di lavoro virtuale. Vale a dire, individui di diverse sedi, unità più diverse all’interno dell’organizzazione o anche di altre organizzazioni che possono usare i moderni servizi di comunicazione per mettersi insieme come squadra operativa senza lasciare il proprio posto di lavoro principale. Attivare e sostenere gli strumenti necessari perché tali squadre possano operare efficientemente rappresenta una grossa sfida per i manager. Ma, ancora maggiori sono le sfide sociali. I membri della squadra provenienti da unità funzionali differenti possono assumere degli approcci differenti nei confronti dei problemi. Il fatto rappresenta al contempo un vantaggio e uno svantaggio; ad esempio, qualcuno proveniente da una divisione manifatturiera o di servizi può avere un punto di vista sul progetto di un prodotto diverso da quello di qualcuno che viene da divisioni di ingegneria, finanza e vendite. Allo stesso modo, le squadre di progettisti possono prevenire e affrontare dei problemi se comprendono anche rappresentanti di attuali o futuri clienti; o, come fece la Boeing che inserì rappresentanti della Agenzia dell’Aviazione Federale degli USA, nonché rappresentanti di agenzie normative, nella squadra impegnata a progettare l’aereo 777[27]  I punti di vista diversi avrebbero portato a un migliore progetto del prodotto, ma prima era necessario colmare i divari nella comunicazione. A causa della natura multinazionale di molte organizzazioni odierne, le squadre di lavoro virtuale possono di frequente comprendere persone di paesi e di culture diversi. A complicare ulteriormente questi problemi, le squadre devono spesso lavorare attraverso molti fusi orari.

Ovviamente, sostenere le squadre operative della conoscenza virtuale comporta delle sfide impegnative. Ad esempio, le squadre devono essere in grado di funzionare fra svariate specializzazioni tecniche, svariate culture, lingue, fusi orari e normative organizzative differenti. Sfide come queste erano un tempo rare ma sono ora luogo comune. Inoltre, le squadre si mettono insieme e si sciolgono in breve tempo. In genere, i membri delle squadre di lavoro di conoscenza sono specialisti. La loro competenza specifica può essere necessaria a risolvere un certo numero di problemi di tipo diverso; dunque, potrebbero fare parte contemporaneamente di più squadre. Ci troviamo, così, praticamente di fronte alle antitesi delle caratteristiche che favoriscono il successo delle squadre operative: collocazione, omogeneità e appartenenza costante.

Tuttavia, nonostante questi spinosi problemi, le squadre di lavoro della conoscenza virtuale sono il migliore e, forse, l’unico approccio in un numero sempre crescente di casi. Molti progetti comportano l’uso di tecnologie non ancora messe a punto. Pertanto, richiedono grossi e rischiosi investimenti. Le joint venture sono un mezzo per mettere insieme le risorse necessarie e per distribuire l’eventuale rischio. La conoscenza e le competenze specifiche necessarie sono raramente presenti in un unica struttura; talvolta non sono neanche disponibili in un’unica società. Prevedendo una larga partecipazione nella fase di sviluppo, le organizzazioni possono contribuire ad assicurare un impegno diffuso, che faciliterà una successiva realizzazione o, per lo meno, l’accettazione dello sforzo verso lo sviluppo. Infine, la presenza fisica in un’unica sede degli esperti necessari per realizzare un progetto è impossibile o impraticabile da un punto di vista logistico. Molte società in svariati tipi di industria usano squadre operative della conoscenza virtuale per sviluppare i prodotti; ad esempio, la Hewlett Packard, la Intel, la IBM, la Delco e la Weyerhauser, giusto per citarne qualcuna.[28]

    Valutazione dei vantaggi della gestione della conoscenza
Ho dato inizio a questa discussione affermando che la nostra è un’economia della conoscenza. Riflettiamo con più attenzione su quest’idea, perché potrebbe suggerire il modo in cui misurare i vantaggi dei programmi di gestione della conoscenza. Anche se quest’idea è confusa e difficile da afferrare, la conoscenza è un bene organizzativo. Edwin Land, inventore della fotografia Polaroid, una volta osservò che i beni più preziosi di un’organizzazione non si possiedono, “escono dal parcheggio di notte”. I beni intangibili dei moderni affari costituiscono una porzione sempre crescente del valore netto degli stessi. Tali beni vengono talvolta definiti capitale intellettuale. Un’importante componente del capitale Intellettuale è rappresentata dai beni di conoscenza che una certa azienda possiede. La ricerca ha rivelato che i costi della ricerca e dello sviluppo sono decisamente legati all’andamento dei prezzi in borsa, suggerendo, se non dimostrando, un collegamento fra i beni della conoscenza e il valore netto di un’attività.

Potrebbe essere utile esaminare questo valore nascosto relativo a qualche ben nota società. Se dividiamo il valore di mercato di una società, cioè il valore totale di tutte le azioni in circolazione, per il valore dei suoi beni tangibili, arriveremo a qualcosa che si chiama indice Tobin, o rapporto fra valore di mercato e valore contabile. Il valore contabile è la somma che gli investitori possono sperare di ricevere liquidando tutti i beni di una società e pagando tutti i creditori. Se calcoliamo il rapporto fra valore di mercato e valore contabile per la Microsoft Corporation del maggio 2000, otteniamo 8,57. Vale a dire che per i suoi investitori la Microsoft vale quasi nove volte rispetto ai beni tangibili. Allo stesso modo, se calcoliamo lo stesso indice per la Intel, scopriamo che il suo valore è 10,93. In entrambi i casi ciò riflette l’opinione degli investitori, cioè, che queste società di alta tecnologia continueranno a fabbricare prodotti richiesti e molto venduti. In altre parole, qualcosa come il 90% di ciò che gli investitori comprano sono beni intangibili. Ovviamente, ciò può essere dovuto in parte al fascino della borsa e alle forze irrazionali del mercato, ma la stessa cosa si verifica se prendiamo in esame altre società.

20 Maggio 2000

Mercato

Contabile

M/C

Intel

394.8

36.1

10.93

Microsoft

342.4

39.9

8.57

General Motors

54.0

22.4

2.41

CSX Rail

5.1

5.7

0.89

Bethlehem Steel

0.6

1.3

0.47

Figura 1

Ad esempio, l’indice per la General Motors è 2,41; il che riflette, si può affermare, il significativo valore della conoscenza impiegata nella progettazione di automobili. Se volgiamo l’attenzione ad un’industria in cui i beni della tecnologia e della conoscenza giocano un ruolo minore, le ferrovie americane CFX, il loro indice è dello 0,89. In altre parole, coloro che possiedono azioni della CFX potrebbero, per principio, scegliere di liquidare i beni delle ferrovie e ricevere più del valore corrente delle loro azioni. Volgendo infine l’attenzione ad un’industria produttrice di acciaio, la Bethlehem Steel, che notoriamente non è riuscita ad investire in tecnologie, il rapporto fra valore di mercato e valore contabile sarà 0,49, cioè, i suoi investitori potrebbero, sempre per principio, scegliere di liquidarne i beni e ricevere così più del doppio del valore delle sue azioni.

Sono proprio i beni intangibili di un’azienda, in modo particolare i beni della conoscenza, che i manager della conoscenza cercano di accrescere o di massimizzare. Pertanto, abbiamo bisogno di un sistema di misure che possa essere usato per valutare il successo degli interventi dei manager della conoscenza. Non esiste un sistema generalmente riconosciuto. E quelli che esistono sono spesso strettamente legati alle mete specifiche di una data organizzazione, come è normale che siano. Ad esempio, la Buckman Laboratories, fra le prime ad adottare e a promuovere la gestione della conoscenza, usa la percentuale di vendite di prodotti che hanno meno di cinque anni per misurare l’efficacia dei suoi interventi di gestione della conoscenza. La Buckman Laboratories produce prodotti chimici speciali e fornisce consulenza per aiutare a risolvere complessi problemi industriali.  I dirigenti credono che la soluzione dei problemi dei clienti, sempre diversi, sia la chiave del vantaggio competitivo; si tratta, pertanto, di un’adeguata misura. Nel 1992, la Buckam introdusse un sistema di comunicazione, K’Netix. Nei quattro anni precedenti alla messa in opera di K’netix, le vendite di prodotti con meno di cinque anni rappresentavano il 22% delle vendite. Nei quattro anni successivi questi prodotti rappresentavano quasi il 33% delle vendite. Pertanto, la Buckman può ritenere giustificato il suo investimento nel sistema K’Netix.[29]

    Proposte di misurazione
In genere non è possibile ridurre gli effetti degli interventi di gestione della conoscenza ad un’unica misura facilmente interpretabile, per non parlare di una misura espressa in unità finanziarie. Tuttavia, è possibile trovare delle misure utili. Il pannello di controllo della strumentazione di un aereo ha molti indicatori che rilevano alcuni aspetti del volo o le condizioni dei sistemi a bordo dell’aereo. Un pilota non può pretendere di volare monitorando solamente un unico strumento. Deve fare affidamento su un certo numero di strumenti allo scopo di arrivare sano e salvo a destinazione. In realtà, imprenditori e investitori hanno sempre fatto qualcosa di simile. Dovendo prendere delle decisioni, tengono conto di vari fattori, come guadagno, ritorno sull’investimento, ritorno sul capitale, flusso monetario scontato, rapporto fra capitale proprio e capitale in prestito, gradi di rischio, ecc. Ed infatti, i manager hanno iniziato a inserire un sistema di misure non finanziarie fra le informazioni usate per descrivere le condizioni, o la salute, delle loro organizzazioni.

Nel 1992, Robert Kaplan della Harvard Business School stilò una relazione, divenuta un classico, in cui proponeva l’uso di una Scheda Bilanciata comprendente un numero limitato di misure operative e finanziarie selezionate e di facile applicazione.[30]  Kaplan sostiene che le misure finanziarie danno un quadro del rendimento passato, mentre le misure operative illustrano il rendimento futuro. Le misure operative comprendono la soddisfazione del cliente, lo stato dei procedimenti interni, il tempo di sviluppo e consegna, l’indice di consegna puntuale, gli affari reiterati, il turno dei dipendenti, ecc. Le misure operative sono il complemento di quelle finanziarie. Kaplan raccomanda che le specifiche misure operative siano basate sulla strategia di un’azienda. Una scheda bilanciata serve ad affrontare quattro questioni:

    •  Come vedono l’impresa i clienti?

    •    Punto di vista del cliente

    •  In cosa dobbiamo eccellere?

    •    Punto di vista interno

    •    L’impresa può migliorare e imparare?

    •    Innovazione e prospettive di apprendimento

    •  Come vedono gli azionisti l’impresa?

    •    Prospettiva finanziaria

Un altro approccio è quello proposto da Baruch Lev, Docente di Contabilità e Finanza presso la School of Business dell’Università di New York. Lev propone una misura del capitale Intellettuale, un parametro che può essere usato per valutare l’efficacia di nuovi programmi e iniziative. Il programma di Lev viene definito tabella del capitale della conoscenza. Il valore del capitale Intellettuale si calcola distinguendo prima quanto l’azienda avrebbe dovuto guadagnare dai beni finanziari e tangibili. Esistono delle fonti standard per i previsti indici di ritorno di questi beni relativi a varie industrie. Tale ritorno previsto viene così sottratto dai reali ritorni di un’azienda al netto delle imposte. La fase successiva non è riconosciuta universalmente. La rimanenza viene divisa per l’indice di sconto (previsto indice di ritorno) dei beni della conoscenza. Poiché nessuno conosce l’entità dei beni della conoscenza, per non parlare del previsto indice di ritorno, Lev ricorre ad un proxy, una sorta di misura sostitutiva che consiste nella media del previsto rendimento del capitale proprio al netto delle imposte, relativa a tre aree industriali basate su una conoscenza intensiva: software, biotecnologia e farmaceutica. Esiste una pubblicazione contenente dei punti di riferimento standard che fornisce questi dati (Ibbotsen & Associates, Cost of Equity). Nel 1999 questo indice era del 10,5%. Ovviamente l’approccio di Lev non manca di critiche. La Figura 2 è un esempio dell’approccio della tabella del capitale della conoscenza applicato ai dati finanziari della Merck relativi al 1997.

Tabella del Capitale della conoscenza

Merck and Co. 1997

Capitale

Valore in Mld $

Tasso
di sconto%

Contributo al Guadagno Mld $

Tangibile

4,9

7,0

,343

Finanziario

,624

4,5

,028

Conoscenza

48,8 ¬

10,5

5,5 – 0,343 – 0,28 = 5,13

Figura 2

La tabella del capitale della conoscenza è relativamente semplice da applicare e da interpretare. La scheda bilanciata di Kaplan è più complessa, ma si fa di tutto per limitare il numero di misure in essa comprese. Le misure del capitale intellettuale meglio sviluppate sono quelle elaborate da Leif Edvisson delle assicurazioni Skandia e dai suoi colleghi in Svezia. Il modello di Edvisson tenta di cogliere l’intera ricchezza del capitale intellettuale, al costo di qualche complessità. Non ci soffermeremo a lungo su questo modello. Il tempo non ci consente di trattarlo a fondo in questa sede.

I tentativi fatti da Edvinsson per occuparsi del capitale intellettuale delle assicurazioni Skandia dove egli lavora, hanno inizio con l’aggiunta di una pagina alla relazione annuale della Skandia per il 1993. Agli inizi si trattava di un semplice resoconto sullo stato del capitale intellettuale della Skandia. Dal 1994 è divenuto una relazione completa sul capitale intellettuale della Skandia, pubblicato come supplemento alla relazione annuale formale. Il piano di Edvisson cerca di cogliere i flussi e le trasformazioni del capitale intellettuale. Insieme ai suoi colleghi, Ross e Dragonetti, egli sostiene che i flussi fra forme diverse di capitale intellettuale devono essere gestiti come tutto il resto del capitale azionario.

Il modello di Edvisson, pur essendo relativamente complesso, ha una certa eleganza teorica. Edvisson inizia col dividere i beni di un’azienda in Capitale Finanziario e Capitale Intellettuale. Divide poi il capitale intellettuale in Capitale Umano, cioè le persone e le loro competenze, e Capitale Strutturale, cioè, quello che resta se escludiamo le persone, vale a dire, brevetti, procedimenti personali, procedure, banche dati, relazioni organizzative, ecc. Le misure del capitale umano sono Competenze, Atteggiamenti e Agilità Intellettiva. Gli indicatori di competenza comprendono la percentuale di dipendenti con titoli specialistici, la conoscenza delle tecnologie informatiche, le ore di formazione per dipendente, la lunghezza media dell’impiego, ecc. Esempi di indicatori di atteggiamento sono: il tempo impiegato a relazionare, il tempo impiegato dal personale più anziano a spiegare le strategie, l’indice di motivazione, ecc. L’agilità intellettiva consiste nella capacità di applicare la conoscenza in nuove situazioni e in nuovi contesti. Gli indicatori dell’agilità intellettiva sono i risparmi dovuti a proposte dei dipendenti, nuove soluzioni e prodotti proposti dai dipendenti, l’indice della varietà culturale, l’indice della diversificazione dell’azienda, ecc.

La seconda componente del Capitale Intellettuale è il capitale strutturale. Le misure del capitale strutturale sono, Relazioni, Organizzazione, e Rinnovo e Sviluppo. Esempi di indicatori per le relazioni sono: la percentuale degli affari dei fornitori dell’azienda o degli affari di clienti che l’azienda rappresenta, durata delle relazioni, indice di soddisfazione del socio, mantenimento dei clienti, ecc. Gli indicatori usati per valutare il contributo che l’organizzazione di un’azienda dà al capitale strutturale comprendono le spese amministrative in rapporto al reddito totale, le rendite derivate dai brevetti, i procedimenti portati a termine senza errore, la durata del ciclo e del processo, ecc. L’ultima misura di capitale strutturale, ma forse la più importante, è relativa alla voce rinnovo e sviluppo. Ne sono indicatori: la percentuale degli affari derivati da nuovi prodotti, le spese di formazione per dipendente, le ore impiegate per la formazione per ciascun dipendente, le spese operative, le richieste di nuovi brevetti inoltrate, ecc.[31]

Edvinsson ha escogitato un elenco di 30 indicatori che i manager del complesso della Skandia usano per relazionare sullo stato del capitale intellettuale dell’azienda.[32]  Ciascuna delle unità operative della Skandia ha identificato nell’elenco di Edvinsson le cinque voci del capitale intellettuale più significative e importanti per il successo dell’azienda. Da questo insieme di cinque voci significative e importanti è stato sviluppato un altro insieme delle tre principali misure del capitale intellettuale. Si tratta di indici relativi al capitale dei clienti, indici del capitale umano e indici del capitale strutturale. I manager di complesso compilano una relazione periodica usando queste misure. I cambiamenti di questi parametri vengono analizzati per l’effetto che hanno sul profitto. Basandosi su quest’analisi, i manager di complesso della Skandia sono in grado di accentrare l’interesse sui fattori del capitale intellettuale che richiedono attenzione e che andrebbero modificati allo scopo di migliorare il rendimento dell’azienda.[33]

   Conclusioni
Il mondo ha attraversato circa 200 anni durante i quali l’industria e lo sviluppo industriale hanno creato grande ricchezza e prosperità. A cominciare dalla metà del XX secolo, il predominio dell’economia industriale mondiale ha ceduto il passo ad un’economia basata sull’informazione. Alla fine del XX secolo e all’alba del XXI, l’economia dell’informazione sta cedendo il passo all’economia della conoscenza. Viene ora dato riconoscimento all’importanza degli individui e a quel particolare tipo di conoscenza che sfugge a una facile cattura in banche dati o alle modalità codificate. Pertanto, i manager si stanno rendendo conto dell’importanza di creare ambienti che facilitino la crescita e la creazione della conoscenza. E’ chiaro che la conoscenza cresce quando viene comunicata e condivisa. Di conseguenza, le attività dei gruppi e i mezzi per renderli più efficienti stanno ottenendo rinnovata attenzione.

Insieme con un accresciuto riconoscimento dell’importanza della conoscenza per il successo delle imprese c’è anche un’accresciuta avversione a ricreare lavoro intellettuale già svolto all’interno o fuori dell’organizzazione. Molte organizzazioni, pertanto, hanno istituito dei programmi formali in cui le procedure migliori vengono identificate e messe a disposizione degli altri.

Si presuppone che molti operatori della conoscenza compiano gran parte del lavoro, o per lo meno una parte significativa di esso, in luoghi differenti dalla sede fissa dell’ufficio. Tuttavia gli stessi individui, se devono crescere e contribuire al corpus della conoscenza organizzativa, devono poter disporre di comunicazioni ottimali e senza ostacoli con il resto dell’organizzazione. Ciò presenta un’ulteriore sfida per la moderna gestione. La natura delle organizzazioni moderne complica ulteriormente la questione del sostegno agli operatori della conoscenza nel loro lavoro. Molte organizzazioni sono fisicamente lontane e spesso si uniscono in joint venture con vari partner. Così si trovano a mettere insieme squadre di specialisti individuali che devono lavorare insieme nonostante le differenze di località, cultura, lingua e fede organizzativa.

Pertanto, ci si sta rendendo conto, in misura sempre maggiore, che la conoscenza sia un bene di cui fare un saggio uso e da gestire. Anche le esigenze particolari degli operatori della conoscenza stanno ricevendo una maggiore attenzione che porta ad investimenti su vasta scala in infrastrutture atte alla condivisione della conoscenza.

E’ chiaro che le aziende basate sulla conoscenza intensiva possiedono beni che i tradizionali metodi di contabilità non riescono a riconoscere. Si stima che queste aziende valgano fino a 10 volte il valore netto dei beni fisici. Per spiegare questa discrepanza gli economisti, a cominciare da John Kenneth Galbraith, hanno identificato un qualcosa che viene definito Capitale Intellettuale. Misurare il capitale intellettuale, tracciare il grafico della sua crescita e giustificare gli investimenti spesso enormi in infrastrutture tecnologiche e in risorse umane rappresenta una nuova grande sfida. Tutto questo, insieme alle sfide relative alla creazione delle strutture organizzative e alle infrastrutture tecnologiche vedrà impegnato un certo numero di persone diverse fra loro come manager, ingegneri, informatici, scienziati nel campo sociale e della comunicazione, ecc. per un po’ di tempo.

La sfida è molto grande e richiederà gli sforzi di molte persone.

Ci si è resi conto, dunque, che la conoscenza è un bene da gestire così come ogni altro capitale. Il lavoro nel mondo occidentale è sempre più lavoro di conoscenza. Persino attività che sono essenzialmente fisiche comprendono un numero sempre maggiore di componenti di lavoro di conoscenza. La capacità di creare, accrescere e sfruttare la conoscenza è divenuto un importante fattore competitivo nell’era postindustriale.

Traduzione dall’inglese di Giovanna Gallo

Riferimenti bibliografici
  [1] Fritz Machlup, The Production and Distribution of Knowledge in the United States (Princeton, NJ: Princeton University Press, 1962).
  [2] Marc Uri Porat, The Information Economy: Sources and Methods for Measuring the Primary Information Sector (Washington, D.C.: U.S. Department of Commerce, Office of Telecommunications, 1977); and Marc Uri Porat, The Information Economy: Definition and Measurement (Washington, D.C.: U.S. Department of Commerce, Office of Telecommunications, 1977).
  [3] Thomas A. Stewart, Is this job really necessary? Fortune (12 January 1997): 154.
  [4] Quoted in Ikujiro Nonaka, The knowledge creating company, In:  Harvard business review on knowledge management, Boston, Massachusetts:  Harvard Business Review, 1998, p.27.
  [5] Carla O’Dell and C.Jackson Grayson, Jr. with Nilly Essaides, If only we knew what we know:  the transfer of internal knowledge and best practices, New York, Free Press, 1998.
  [6] Ibid, ix.
  [7] Ibid.
  [8] Ibid., pp. 61-2.
  [9] Ibid., p. 83.
  [10] James W. Michaels and Dirk Smillie, Webucation, Forbes, 165 (11)(15 May 2000):  92.
  [11] Michael Milken, comeback king, The economist, 350 (8112)(27 March 1999):  34.
  [12] Michaels and Smillie, Loc. Cit.
  [13] Douglas B. Weinberg, U.S. international transactions, first quarter 2000, Survey of current business,80(7)(July 2000):  79-124.
  [14] Quoted in: Kimball Fisher and Mareen Duncan Fisher, The distributed mind:  achieving high performance through the collective intelligence of knowledge work teams, New York:  AMACOM, 1998, p. 174.
  [15] Fisher and Fisher, Op. Cit., pp. 8-25.
  [16] Wendi Bukowitz, In the know, CIO magazine, 15 April 1996, http://www.cio.com/archive/041596_ins_content.html.
  [17] Microsoft Corp., Press release, Arthur Andersen: Intranet solutions case study, http://www.microsoft.com/technet/Analpln/Cs/authand.asp.
  [18] KnowledgeSpace, http://www.knowledgespace.com/splash/
  [19] Thomas H. Davenport and Laurence Prusak, Working knowledge:  how organizations manage what they know, Boston, Massachusetts:  Harvard Business School Press, 1998, p.121.
  [20] Ibid., p. 33.
  [21] Ibid.
  [22] Fisher and Fisher, Op. Cit., p. 176.
  [23] Ibid., p. 132.
  [24] Ibid., p. 75.
  [25] Ibid., p. 152.
  [26] Ibid.
  [27] Ibid., pp. 37-8.
  [28] Ibid., p. 134.
  [29] O’Dell and Grayson, Op. Cit., pp. 132-4.
  [30] Robert S. Kaplan and David P. Norton, The balanced scorecard:  measures that drive performance, Harvard business review, 70 (1) (Jan/Feb 1992): 71-79.
  [31] Johan Roos, Göran Roos, Leif Edvinsson, and Carlo Dragonetti, Intellectual capital:  navigating the new business landscape, New York:  New York University Press, 1998, pp. 28-58.
 [32] Michael S. Malone, New metrics for a new age, http://www.forbes.com/asap/97/0407/040.htm.

  [33] Maylun Bucklew and Leif Edvinsson, Intellectual Capital at Skandia, http://www.fpm.com/cases/el3.html.

Prof. S.Michael Malinconico
School of Library and Information Studies - University of Alabama
e-mail: mmalinco@slis.ua.edu


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